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Viale: "Emergenza ambientale più pericolosa. Coronavirus ne è una manifestazione"

Guido Viale, sociologo e saggista, spiega a Giulia Innocenzi che dobbiamo pensare sin da ora a un nuovo modello produttivo, per rispondere all'emergenza climatica una volta superata quella del coronavirus

"Quando tutto questo finirà, prima ancora delle conseguenze economiche, si faranno sentire quelle legate al clima e all'ambiente. Gli scienziati dell'IPCC, l'organismo Onu che si occupa di cambiamenti climatici, ci hanno avvertito che ci restano dieci anni per invertire la rotta, prima che le conseguenze sull'ambiente diventino irreversibili". A lanciare il monito intervistato da Giulia Innocenzi è Guido Viale, sociologo e saggista, esperto di politiche ambientali. 

Tutti noi ci chiediamo quando torneremo alla normalità. Lei invece dice che questa che stiamo vivendo oggi è la normalità. Cosa vuol dire?

Innanzitutto non eravamo nella normalità neanche prima che scoppiasse il coronavirus, perché numerosi governi da più di un anno avevano già dichiarato l'emergenza climatica e ambientale. Anche se alla parola 'emergenza' era seguito un nulla di fatto.

Lei sostiene che l'emergenza climatica sia più grave di quella del coronavirus. Perché allora non l'affrontiamo? Perché ne percepiamo meno il pericolo?

Il COVID-19 non è altro che una delle tante manifestazioni, in questo caso molto virulenta, dell'emergenza ambientale in cui siamo già immersi. Quando tutto questo finirà non pensiamo di tornare a come si stava prima. E a ricordarcelo, quando finalmente usciremo dalle nostre gabbie, sarà il movimento Fridays for Future, che tornerà a occupare le piazze. 

I politici si sono mostrati all'altezza?

La pandemia, anche se non con una data precisa, era già stata prevista nel rapporto "Un mondo a rischio" redatto dall'organismo creato dall'Onu Global Preparedness Monitoring Board (GPMB) uscito nel 2019. C'è scritto nero su bianco, infatti, della "minaccia molto concreta di una pandemia altamente letale di un agente patogeno delle vie respiratorie, che potrebbe uccidere dai 50 agli 80 milioni di persone e spazzare via intorno al 5% dell’economia mondiale". Quindi i governi erano stati avvertiti, ma sono arrivati tutti comunque impreparati.

La speranza è di poter tornare alla normalità il prima possibile. Lei pensa che sia possibile?

Non lo auspico nemmeno, e come me tutti i giovani che sono scesi in piazza, perché consapevoli che quella normalità li avrebbe portati alla catastrofe. Penso anche che molti abbiano capito, durante questa reclusione forzata, che viviamo in una situazione di rischio permanente. Quindi occorre adottare molte più precauzioni del passato, soprattutto per quanto riguarda i consumi, gli sprechi, e la dissipazione di risorse che caratterizzano le nostre vite. 

Dovremo quindi fare delle denunce?

Con la reclusione forzata in molti hanno rivalutato il gusto per la lettura, la cultura, abbandonando gli schemi al centro del consumismo che la pubblicità ci impone. Mentre non mi sembra che abbiano imparato la stessa lezione gli industriali, che insistono nel voler mandare avanti la produzione, addirittura quella delle armi, che mi sembra la più scandalosa. Ma la continuità produttiva verrà comunque interrotta, perché verranno a mancare le forniture e i mercati di sbocco. Dovremmo invece mettere in campo le produzioni che sono indispensabili per avviare la svolta climatica e ambientale, e che domani avranno il loro mercato e la possibilità di espandersi. 

Per esempio?

Come le energie rinnovabili, portando avanti l'efficientamento energetico, la riforma dell'agricoltura, con quella industriale che sta impoverendo i suoli. E una rivoluzione della mobilità: non potremo permetterci un'auto per abitante quando saremo dieci miliardi sulla Terra nel 2050. L'Italia è uno dei paesi con il più alto tasso di automobilismo al mondo, l'Europa segna una macchina ogni due abitanti. Queste auto non ci stanno fisicamente sul pianeta. 

Nel futuro imminente, però, dovremo confrontarci con la disoccupazione di massa.

Ma non saranno i tentativi degli industriali, a cui il governo si è dimostrato fin troppo sensibile, a tenere in piedi la produzione. La disoccupazione, rispetto al tipo di economia attuale, sarà una situazione a cui comunque dovremo far fronte con un reddito garantito, e intanto mettere in piedi nuove filiere produttive. Ma dobbiamo cominciare a concepirle ora, per far partire la conversione ecologica.

Ne usciremo migliori, come dicono in tanti?

È sicuramente una situazione imprevista, che ci mette di fronte a noi stessi, al nostro passato, in maniera più radicale rispetto a quanto ci succede nella vita ordinaria. In mancanza però di una direzione chiara, il rischio è che si perseveri sul vecchio cammino, che non fa altro che portarci al disastro. Non solo dal punto di vista ambientale, ma anche economico.

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