“C'era un piano per uccidere Paolo Borrometi, giornalista sotto scorta” | VIDEO
Il procuratore di Catania: la mafia voleva uccidere Paolo Borrometi per le sue inchieste scomode. Ismaele La Vardera ci ha raccontato la storia del giornalista, vicedirettore dell’agenzia Agi, che ha dovuto lasciare la sua famiglia e la sua Sicilia
“Il giornalista Paolo Borrometi è parte offesa. Gli imputati hanno manifestato forte risentimento e progetti di attentato nei suoi confronti”. A dirlo è Carmelo Zuccaro, il procuratore di Catania che ha trasmesso una relazione alla Commissione regionale antimafia.
Gli inquirenti arrivano a questa conclusione dopo essersi partiti da quattro arresti a Pachino da parte della Polizia. È l’aprile 2018, quando le indagini partono da un’intimidazione verso una curatrice fallimentare. Salvatore Giuliano, il boss di Pachino, viene intercettato. Al telefono parla di Borrometi e del piano per ucciderlo.
Con Ismaele La Vardera abbiano conosciuto la storia di Borrometi e il suo dramma quotidiano, nel servizio che vi riproponiamo qui sopra.
Borrometi ha subìto un’aggressione di stampo mafioso, nella sua casa di campagna a Modica. Aveva raccontato i traffici dei clan mafiosi della zona collezionando oltre 150 denunce per minacce di morte e violenze private, fino anche a ritrovare alcune molotov destinate a lui. Fatti agghiaccianti che oggi sono stati accertati anche dalla Procura di Catania: “Per quanto concerne il fallito attentato con autobomba che sarebbe stato commissionato da mafiosi di Pachino, va evidenziato che l’ipotesi dell’autobomba costituisce un’interpretazione del giornalista tutt’altro che campata in aria, ma comunque non suffragata da altri riscontri, di una conversazione intercettata nel procedimento penale”, scrive Zuccaro.
Questo è stato solo la punta di un iceberg fatto di anni di minacce e ritorsioni che erano all’ordine del giorno. “Gran pezzo di merda, ti dico una cosa così almeno la smetti: ti vengo a cercare fino al culo di tua madre o di tua moglie e ti spacco il culo con le mani, giuro che con due pugni in faccia ti mando all’ospedale”, questo messaggio vocale è il fratello di un noto capomafia di Siracusa, che evidentemente non ha gradito le inchieste di Borrometi sul suo clan. “Devo perdere il nome mio se non ti prendo la mandibola e te la metto dietro. Nomina nuovamente mio fratello e ti vengo a cercare fino a casa. E ti massacro”.
Il giornalista è stato costretto a lasciare la sua famiglia e la sua isola per rifugiarsi a Roma, sotto scorta. Qualcuno è arrivato ad accusarlo di avere inventato quelle stesse minacce mafiose per ottenere “il privilegio” della protezione. “Vivere con cinque uomini ogni giorno e non potere andare al mare, al cinema, non potere avere una vita privata, non potere neanche abbassare il finestrino mentre stai in macchina, ma che privilegio è?”, replica Borrometi.