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Google e gli altri motori di ricerca sanno tutto su di noi? | VIDEO

Non sono solo le pubblicità sul web a essere profilate su di noi, ma anche i contenuti. Ma che differenza c’è tra Google, usato dal 90% degli europei e dal 95% degli italiani, e gli altri motori di ricerca? Nicolò De Devitiis, insieme a diversi esperti del settore, fa un po’ di chiarezza sull’argomento

Con motore di ricerca si intende quel posto in cui tutti andiamo quando cerchiamo qualcosa su internet: digitiamo una frase o una parola e ci escono tutta una serie di risultati. Ma che differenza c’è tra Google, quello usato dal 90% degli europei e dal 95% degli italiani, e gli altri motori di ricerca?

Abbiamo fatto un piccolo esperimento: abbiamo digitato la parola “casa” su tutti i diversi motori di ricerca. Ma al di là delle grafiche e delle impaginazioni i risultati sono abbastanza simili. Insomma, non sembrano esserci grandi differenze. Quindi cosa cambia veramente tra l’uno e l’altro?

“Il nostro è un motore che non traccia i dati, rispetta la privacy dell’utente e ti mette in condizione di avere una ricerca più aperta possibile” ci dice Jean Claude Ghinozzi, il presidente e direttore generale di Qwant, “Google invece traccia tutti i dati degli utenti per poi riutilizzarli e rivenderli a livello pubblicitario: rivende dati ma essenzialmente usa lo stesso metodo di ricerca delle informazioni degli altri motori di ricerca”.

Ma quindi cosa c’è di diverso? Proviamo a chiederlo a un altro esperto, il fondatore e direttore di un famoso motore di ricerca: Ecosia. “Sostanzialmente funziona come Google ma non prendiamo i dati di nessuno e la vera grossa differenza è che noi usiamo i guadagni per piantare alberi”. Puntano tutto sull’ecologia insomma e fanno del loro profitto un investimento sul benessere del pianeta.

Passiamo a Bing, il motore di ricerca di Microsoft. “Bing riesce a rispondere alle mie esigenze: se scrivo per esempio ‘traducimi frigorifero in arabo’ non dovrò appoggiarmi a dei servizi esterni, ma troverò la traduzione direttamente su Bing”. Però è lo stesso su Google. Come mai? “Il 50% delle ricerche porta le persone a restare dentro Google: se cerco, per esempio, il risultato della partite di serie A, lo vedo subito senza dover aprire altri siti specifici” ci spiega Marco Montemagno, imprenditore digitale. Questo significa che più rimani sulla loro pagina e più loro guadagnano. Funziona un po’ come gli ascolti per la televisione: più gente guarda un programma, più posso fare pagare una pubblicità.

Per un certo verso la pubblicità mirata è comoda perché internet mi propone cose che di sicuro mi piacciono, ma dall’altro perché allora gli altri motori di ricerca si vantano di non profilarti? “Oggi ci sono miliardi di internet: ognuno ha il proprio. Non sono solo le pubblicità a essere adattate a noi ma anche i contenuti” spiega Luca Cattoi, un esperto di strategia di comunicazione digitale. “E non solo! Se cerco una cosa dallo smartphone o da un computer fisso i risultati saranno diversi. Così come cambia se le cerco da un iPhone, che costa molto, o da un telefono che costa meno: ti segnalano anche offerte in linea con la tua spesa”, aggiunge Montemagno. 

Quando si parla quindi di ‘democrazia del web’ si dovrebbe parlare di una democrazia personalizzata. “Finiamo per continuare a ricevere informazioni in linea con la nostra storia e i nostri interessi: ti danno dei risultati simili a quelli già cercati e il problema è proprio che continuo a consolidare la stessa idea” ci spiega Montemagno. Stiamo parlando della ‘filter bubble’: un insieme di algoritmi che ti fanno vedere siti e informazioni in linea con la tua persona. 

“Negli Stati Uniti hanno fatto degli studi legati alla sfera politica e hanno visto che c’è una correlazione tra la filter bubble e l’estremizzazione dei pensieri politici: se io rimango dentro una bolla continuo a pensare che quella è l’idea giusta” sottolinea Cattoi. Insomma, avremo sempre una visione parziale del mondo. E per fare questo utilizzano i cookies, dei microfile su cui c’è scritto tutto quello che abbiamo fatto e cercato su internet. “Questi dati possono essere poi venduti o utilizzati alla tua insaputa” aggiunge Ghinozzi di Qwant. Ma quindi quando un sito ci chiede di accettare i cookies per continuare la navigazione, a cosa stiamo dando il consenso in realtà? 

“Permettiamo al sito di tracciarci e di collegare quello che stiamo facendo con altri servizi esterni. Facebook, Instagram, Spotify, Youtube, Amazon e tanti altri siti sapranno non solo su che sito sono andata ma anche cosa ho cercato e cosa ho visto”, ci spiega Paolo Dal Checco, consulente informatico forense.  Se quindi andiamo su un sito di droni per esempio, Amazon ci proporrà dei droni da comprare. 

Ma non è finita qui: “Il sito che stiamo visitando passa le nostre informazioni (cosa ci piace, cosa cerchiamo online, cosa vogliamo comprare) in una piattaforma fatta apposta per la pubblicità e mette all’asta lo spazio pubblicitario. In pochi millesimi di secondi chi vince ottiene la possibilità di mostrarti la sua pubblicità”. Pubblicità che sarà ovviamente profilata sull’utente che sta visitando quel sito in quel momento. E vale un sacco di soldi! Da 20/30 centesimi a 1 euro per ogni click. “Il business di Google è infatti vendere pubblicità, ha fatto 40 miliardi di dollari nell’ultimo trimestre” specifica Montemagno. Sono soldi che fa per aver messo quindi la giusta pubblicità nei siti che vogliamo visitare. Insomma, siamo noi che accettiamo i cookies che generano questo grande guadagno.

Ma sapete come non farvi tracciare?  “Andando su adsetting.google.com possiamo decidere se attivare o disattivare gli annunci pubblicitari. Cliccando poi su ‘my activities’ vediamo anche tutto quello che sa su di noi: età, sesso, preferenze sugli acquisti, siti che ho visitato, ricerche che ho fatto, tutto. E se poi ho pure un contatto diretto con la banca, conosce anche i miei investimenti!”, spiega Dal Checco. 

È essenziale quindi, vi ricordiamo, che la vostra password della e-mail sia unica, non va usata in altri siti che magari sono facilmente hackerabili. Mettiamo infatti che un hacker riesca a bucare, per esempio, un sito dove ordiniamo la pizza. Alcuni siti infatti non hanno un livello di sicurezza molto alto. L’hacker riesce così a prendere i tuoi dati e se, come il 90% degli italiani, usi un’unica password per tutti gli account, il gioco è fatto. L’hacker riuscirà a entrare anche in siti che hanno protezioni altissime.

Tutti questi dati vengono poi raccolti in alcuni cataloghi e sono a disposizione di chi vuole acquistarli o scaricarli. “Con questi dati puoi bucare le caselle di posta e da lì entri in tutti gli altri account come Facebook e Instagram”. Ma non finisce qui, “dalla tua mail si può facilmente rintracciare carta di identità, banca, numero telefonico, può sapere quando siamo in casa e quando no o dove si trova la nostra automobile. Abbiamo la nostra vita in mano a quello che è il delinquente di turno” dice Montemagno. 

Volete sapere cosa sa Google di voi? Cercate Google Takeout: dal vostro profilo potrete scegliere cosa volete scaricare (acquisti, i blog, il calendario… tutto quello che avete fatto su intenet) e poi chiedete di asportare il tutto. Dopo qualche ora vi arriverà una cartella con la montagna di informazioni che hanno su di noi. E la stessa cosa potete farla su Facebook: andate su Impostazioni, poi Le tue informazioni e infine su ‘Scarica informazioni’ e lì dentro… troverete il mondo

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