Greta, uscita dalla quarantena in Cina: “Vi mostro come viviamo” | VIDEO
Greta Pesce, italiana in Cina da cinque anni, ha documentato per noi la vita durante l’emergenza coronavirus: dalla sua quarantena durata 28 giorni, alla riapertura di palestre e ristoranti nella “fase 2” dopo il lockdown
Greta Pesce è una studentessa italiana che vive in Cina, a Shanghai, da cinque anni. Tornata il 14 marzo da un viaggio all’estero, ha documentato per noi la sua quarantena in Cina, a Quingdao, e la riapertura graduale del paese dopo il lungo lockdown. Dopo quasi un mese di quarantena, Greta può finalmente uscire e tornare a Shanghai, dove vive stabilmente. Ha documentato per noi la vita in questi giorni: continui controlli di temperatura e tracciamento tramite app sono all’ordine del giorno. “Prima di salire in metro bisogna scannerizzare questo codice QR”, spiega Greta. “Così se nei prossimi giorni dovessi ammalarmi, possono rintracciare chi era vicino a me in metro”. E oltre alla tecnologia, anche la pulizia degli ambienti è fondamentale in questa fase. “Ogni volta che una persona entra in un bancomat per ritirare, appena ha finito, un operatore disinfetta maniglia e schermo”, come si vede nel video qui sopra.
Abbiamo intervistato Greta per chiederle come sta vivendo questa fase, in cui molte attività sono aperte, come la palestra e i ristoranti, ma non l’Università. “Il 27 aprile apriranno le scuole superiori, ma non c’è ancora una data per gli altri istituti”, spiega Greta. Aperitivi fuori si possono fare? “Sì, al momento non ci sono particolari distanze di sicurezza da rispettare perché in Cina i ristoranti hanno aperto già dal primo marzo. All’inizio queste misure c’erano poi sono state allentate. Non c’è l’obbligo di mascherina, ma qui tutti la indossano. I cinesi hanno ancora molta paura”.
“Per le strade c’è gente, ma non tanta come prima”, ci spiega Greta. “Anche perché tante persone non sono ancora rientrate a Shanghai. Io sono fortunata perché sono rientrata in tempo, ma dal 28 marzo gli stranieri, anche se residenti in Cina, non possono rientrare se si trovano fuori dal paese, neanche se qui hanno famiglia o un’impresa”.
“È difficile il ritorno a questa normalità in cui però ci sono tante regole da seguire”, confida Greta. “Per esempio il fatto di non poter andare nel mio residence universitario a riprendere la mia roba, perché lì chi è stato fuori da Shanghai per ora non può entrare". Greta ha documentato per noi anche la lunga quarantena che ha dovuto fare al rientro da un viaggio in Giordania, il 14 marzo. "Quando sono tornata in Cina dal viaggio non sono potuta rientrare in città perché la mia residenza universitaria al momento non accetta persone dall’estero”, ci ha raccontato Greta, che inizialmente, dato che non veniva da una zona a rischio, è stata messa in isolamento a casa del suo ragazzo, a Quingdao. Ma dopo sette giorni è arrivata una telefonata. “Le autorità del governo locale mi hanno chiamata e mi hanno detto che sull’aereo dove avevamo viaggiato c’erano stati dei contagi e quindi dovevamo prepararci perché ci avrebbero fatto fare la quarantena centralizzata in un albergo messo a disposizione dal governo. Infatti, nonostante fossi già in quarantena, dal momento che sul mio aereo c’erano stati contagi era più probabile che avessi contratto il virus. Ci sono venuti a prendere e ci hanno disinfestato la casa”.
Greta ha documentato i giorni passati in albergo, in una stanza separata dal suo ragazzo, tra continui controlli sanitari e il cibo lasciato fuori dalla porta. Passati 14 giorni Greta è tornata a casa, dove però ha dovuto fare altri 14 giorni in isolamento. “In tutto nella città di Quingdao sono 28 giorni di quarantena se hai avuto dei casi di contagio sul tuo volo”.
Nella fase di riapertura che sta interessando la Cina, oltre a regole ferree, anche la tecnologia ha un ruolo fondamentale: “Noi qui siamo abituati. Tutti usano WeChat e sono tracciati e fanno regolarmente pagamenti tramite il telefono”, spiega Greta.
E in Italia a che punto siamo? Abbiamo chiesto di spiegare quale sarà la app di tracciamento e come funzionerà in Italia a Martina Pennisi, giornalista del Corriere della Sera. “Dal punto di vista tecnologico la strategia per ora è molto diversa da quella che stanno usando in Cina. Non c’è ancora un’applicazione nazionale, il governo ne ha selezionata una, si chiama Immuni, ha ancora bisogno di test e probabilmente sarà scaricabile volontariamente, quindi non sarà obbligatoria, dai primi di maggio. Non dovrà quindi essere mostrata per avere accesso a mezzi o luoghi pubblici, ma servirà per tracciare i contatti, quindi per digitalizzare un processo che già avviene a voce. Sarà l’applicazione con lo smartphone a registrare i codici, dichiarati anonimi e criptati, delle persone che ci sono state vicine ad almeno un metro per un numero sufficiente di secondi. Se dovessimo risultare positivi, ci viene dato un codice che permette di sbloccare una lista di persone che potrebbero essere a rischio. A questo punto queste persone vanno gestite, quindi devono essere contattate e bisogna dire loro cosa fare e sottoporle a test il prima possibile. L’applicazione è solo un pezzo e se non ha attorno una struttura adeguata rischia di rivelarsi inutile”.