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Illegalità al bar del tribunale di Palermo? Aperta un'inchiesta | VIDEO

Dopo il servizio di martedì scorso di Ismaele La Vardera che ha raccolto le testimonianze di due dipendenti, la procura di Palermo ha aperto un fascicolo conoscitivo contro ignoti. E dal Napoletano ci arriva, sempre da una barista, un’altra storia di sfruttamento. Se ne siete vittima, scriveteci: noi continuiamo la nostra battaglia

Aggiornamenti

  • TITOLARI DENUNCIATI PER ESTORSIONE

    Alcuni ex dipendenti del bar del tribunale di Palermo hanno denunciato i titolari per estorsione: adesso indagherà la procura, che già si era attivata dopo il servizio di Ismaele La Vardera

Aperta un’inchiesta, al momento un fascicolo conoscitivo contro ignoti, per la vicenda del presunto sfruttamento sul lavoro al bar del tribunale di Palermo, dopo che ve l'abbiamo raccontata con Ismaele La Vardera nel servizio di martedì scorso che potete rivedere qui sopra. In un bar gestito tra l’altro dalla figlia di Giovanni Torregrossa, un imprenditore simbolo che aveva denunciato chi chiedeva il pizzo sulle sue attività. Dopo il servizio, ci arriva anche una nuova denuncia di sfruttamento, dal Napoletano, da Giovanna, barista che lavorava 80 ore alla settimana per 900 euro.

IL BAR DEL TRIBUNALE
La Iena parla con Rita e Valeria, due dipendenti del bar del tribunale che ci raccontano una storia che sembrerebbe stonare con quella dell’eroe anti-racket: “I clienti sono magistrati, carabinieri, polizia. Gente che ha che fare con la legge, quella che non si rispetta là dentro”. “Lavoriamo lì da 12 anni”, proseguono le due donne che sostengono di subire illegalità sul posto di lavoro proprio nel luogo dove si dovrebbe combatterle. “Lavoro per nove ore, sono pagata per quattro”, dicono. “Prendo uno stipendio di 600 euro al mese”.

Insomma, Rita e Valeria avrebbero un part time di 4 ore ma sostengono di lavorarne nove. Guadagnerebbero quindi circa 3,3 euro all’ora. E non è tutto: chi gestisce il bar le sfrutterebbe anche in un’altra maniera, cioè intaccando le loro buste paga. “Devo sempre restituire una certa cifra”, sostiene una di loro. Secondo il loro racconto dovrebbero restituire una parte della cifra dalla busta paga che ricevono, come anche la quattordicesima. “Da dodici anni questo è il patto”, dicono. “Buste paga da milletrecento, millequattrocento. Ma il mio stipendio sempre 600 euro. Dovevo sempre restituire”. Perché per 12 anni sarebbero state dentro questo gioco? “Per bisogno. O fai così o te ne vai”. A lavorare in quel bar sarebbero “una decina di persone”: “Con tutti ha sempre fatto così”.

Per provare a dimostrare la veridicità del loro racconto, Rita e Valeria vanno a parlare con Luisa Torregrossa, che gestisce il bar, con una telecamera nascosta: lo stesso sistema usato dal padre Giovanni per smascherare i suoi aguzzini. “Il contratto è di 4 ore e tu lo sai che non facciamo 4 ore. Io te ne faccio 9”, dice la nostra complice. “Sempre così è stato”, replica la Torregrossa. E anche ai dubbi sulla tredicesima e la quattordicesima la replica è “come sempre”. A questo punto la Iena va a parlare direttamente con Luisa Torregrossa, che dopo un po’ di resistenze se ne va promettendo di sistemare la situazione con le sue dipendenti. 

Noi comunque ci rivolgiamo al presidente del tribunale di Palermo, Salvatore Di Vitale: dopo averlo incontrato, abbiamo messo tutto nero su bianco con il magistrato di turno. E ora è partita l’inchiesta.

“80 ORE LAVORATE E 24 PAGATE”
Subito dopo questo servizio, ci ha contattato un’altra giovane barista, Giovanna (il nome è di fantasia), sfruttata per anni in un locale del Napoletano: “Ho appena visto tutti i servizi della puntata, uno mi ha colpito più di tutti, personalmente, quello di Ismaele La Vardera. Da barista avevo un contratto da 24 ore settimanali ma ne facevo 80!”.

“Ero stata assunta per sei turni a settimana spalmati su cinque giorni lavorativi. Nonostante il mio contratto fosse di 24 ore settimanali, io in realtà ne facevo almeno 48. Percepivo circa 840 euro, in totale”, racconta Giovanna a Iene.it. “Dopo due anni uno dei 4 colleghi va via e il nostro titolare ci parla chiaro: ‘Dovete fare in tre il lavoro che prima facevate in quattro’. Il bar era aperto sette giorni su sette e così ci siamo trovati a lavorare, di fatto, per 80-90 ore a settimana. Lo stipendio? Praticamente lo stesso di prima, 900 euro al mese... Ho resistito per 9 mesi e poi ho deciso di andare via, io non avevo famiglia, a differenza degli altri colleghi”.

“Al momento delle mie dimissioni, quando mi sono licenziata per giusta causa, avevo maturato il diritto a un risarcimento di quasi 30mila euro. Da persona corretta, conoscendo le difficoltà economiche in cui il titolare versava, gli chiesi di farmi avere solo quello che mi spettava per i tre anni di lavoro, più o meno 3mila euro. Me li hanno negati e allora adesso, da quasi 3 anni, siamo in causa. Io ci tenevo a quel lavoro, nonostante per la fatica dei turni mi abbia provocato nel tempo anche due fastidiosissime ernie. Io ne sono uscita, ma so che i miei colleghi sono ancora lì alle stesse condizioni, loro hanno una famiglia da mantenere...”.

Se volete denunciare anche voi episodi simili, potete scrivere a redazioneiene@mediaset.it.

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