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Lager in Libia, condannati a 20 anni tre aguzzini dei migranti

Tre uomini detenuti nell’hot spot di Messina sono stati condannati a vent’anni per associazione a delinquere finalizzata alla tratta di persone, alla violenza sessuale, alla tortura, all’omicidio e al sequestro di persona a scopo di estorsione. Noi de Le Iene vi abbiamo mostrato le condizioni disumani in cui vivono molti migranti nei centri di detenzione in Libia

Vent’anni di carcere per le torture che hanno inflitto ai migranti nei lager libici. E’ questa la storica condanna che è stata inflitta a tre degli aguzzini delle povere persone che hanno raggiunto la Libia e poi sono rimaste imprigionate a Zawia. I tre uomini sono stati condannati per associazione a delinquere finalizzata alla tratta di persone, alla violenza sessuale, alla tortura, all’omicidio e al sequestro di persona a scopo di estorsione. 

Le indagini, come riporta il Fatto quotidiano, sono partite dalle testimonianze di decine di migranti. I loro racconti parlano di torture terribili: sono stati frustati con cavi elettrici, bastonati, picchiati con tubi di gomma fino alla morte, alcuni giustiziati con l’elettricità. Le intercettazioni telefoniche hanno registrato anche le telefonate fatte ai famigliari dei migranti imprigionati, a cui venivano fatte ascoltare le urla di dolore dei loro cari a scopo di estorsione. La condanna ai danni dei tre aguzzini, che sono detenuti nell’hot spot di Messina, è avvenuta grazie al reato di tortura inserito nel 2016 nel codice penale italiano.  

Un’ulteriore conferma, se ce ne fosse, bisogno, dell’inferno che i migranti sono costretti a vivere in Libia. Noi de Le Iene siamo stati là per raccontarvi cosa succede in quei lager: Aiutaci, non andare via. I libici potrebbero portarci in prigione, dove picchiano le persone”, ci aveva implorato un giovane immigrato, “parlate con loro e dite di rimandarci a casa”. 

Meglio tornare a casa dunque che non dover rimanere alla mercé di un paese allo sbando, che dopo tutti questi anni è ancora conteso tra le opposte fazioni della guerra civile che vede opporsi il generale Haftar e Al Serraj. Siamo arrivati nella zona riservata alle donne, dove siamo stati accolti da pianti disperati e richieste di aiuto tra chi vorrebbe essere lasciato libero di partire e chi è disposto a ritornare a casa. “La mia famiglia è stata rapita dai terroristi di Boko Haram”, racconta una ragazza.

“La polizia mi ha colpito con un’arma sul fianco, non riesco a camminare”, racconta un giovanissimo ragazzo nigeriano. “Sono qui perché non c’è più nulla nel mio paese”. “Andiamo molto male, non ci trattano bene”, conferma una donna nella sezione femminile della prigione. “Qui soffriamo, guarda cosa danno da mangiare ai bambini da stamattina” e ci mostra una confezione di yogurt. “Io sono del Senegal, voglio tornare lì”, si sbraccia un’altra ragazza. Meglio a casa, dunque, che non nelle mani dei libici.

E più recentemente ci siamo occupati delle condizioni dei migranti in quei veri e propri lager con Gaetano Pecoraro, che ci ha mostrato i bombardamenti ai danni di civili inermi e i veri obbiettivi di quegli attacchi nel servizio che potete rivedere cliccando qui.

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