Perché la Lombardia non usa i test sierologici rapidi pungidito? | VIDEO
Costano un decimo dei test sierologici a prelievo e in 12 minuti ci dicono se abbiamo il virus. Perché la Regione Lombardia, contrariamente al resto d’Italia, non usa i test “pungidito” preferendo quelli a prelievo? Ci racconta tutto Gaetano Pecoraro
Da qualche giorno siamo entrati nella Fase 2 e ciò che conta adesso è acquisire più dati possibili, per isolare i positivi, trovare gli asintomatici, insomma tracciare l’andamento del virus. Lo si potrebbe fare per esempio con il test sierologico rapido, o pungidito, che si basa su una sola goccia di sangue prelevata con l’aiuto di un aghetto.
Gaetano Pecoraro si sottopone a questo test, che in quindici minuti rivela la sua negatività. E se molte regioni italiane sono partite con l’effettuare questi test a tappeto, la regione d’Europa più infettata, la Lombardia, ha scelto di non farlo. “La Lombardia ha bloccato fin dall’inizio questo tipo di attività”, sostiene Salvatore De Rosa, dirigente di Technogenetics, l’azienda che li propone e presso la quale effettuiamo il test rapido pungidito.
La Regione lo ha fatto a fine marzo, scrivendo a tutte le Ats del territorio che i test per la ricerca di anticorpi non potevano essere utilizzati nella diagnostica, rimandando qualsiasi decisione in merito ai virologi del San Matteo di Pavia, coordinati dal prof .Fausto Baldanti. Una posizione che ufficialmente sarebbe dettata dai dubbi che ancora permarrebbero sull’efficacia dei test sierologici, nonostante a garantirne l’affidabilità siano anche virologi di fama, come l'epidemiologo Massimo Galli, che dice: "L’attendibilità, sulle persone con l’infezione, è decisamente sopra il 93-94-95%. Questi test servono per scremare chi ancora butta fuori virus e chi non lo butta fuori più, s scusate se è poco... Tra i 10 e i 12 minuti si ha la risposta e questo è l’altro grande punto di forza. E poi il costo di un test pungidito è dieci volte inferiore a quello di un test con la puntura del braccio”.
Quando gli chiediamo perché la Lombardia, a differenza di altre regioni, non si stia muovendo in questa direzione, il prof Galli risponde così: “No comment. Ci vogliamo rendere conto che un atteggiamento ostile e preconcetto, in tempo di guerra, per l’utilizzazione dei test rapidi, è assurdo al limite dell’ingiustificabile?”. La spiegazione sembrerebbe darla uno studio del San Matteo di Pavia, che ha analizzato i test pungidito fatti ai pazienti giunti in pronto soccorso. Lo studio, che parla di una sensibilità del test inferiore al 20%, è stato firmato dal dottor Fausto Baldanti, membro del comitato che decide come si fanno le diagnosi in Lombardia.
De Rosa, che abbiamo già sentito, spiega: "Lo studio partiva da un presupposto non corretto, perché andava a valutare i pazienti non al decimo, al 12esimo, al 14esimo giorno, ma lo faceva immediatamente, all’arrivo in pronto soccorso. La scienza insegna che per fare avere validità a un test sierologico devono essere passati almeno 7-8 giorni dal contagio. È una cosa che sanno tutti”. La Regione punta adesso, in collaborazione con l’Università di Pavia, a un nuovo test sierologico, che però si deve avvalere di un prelievo di sangue vero e proprio. E che quindi costa decisamente di più.
A capo dell’équipe che sta sviluppando questo test alternativo è sempre il professor Fausto Baldanti, virologo del San Matteo di Pavia. “Se l’obiettivo è sapere in pochi minuti se una persona ha avuto o no contato con l’infezione, il test rapido è decisamente superiore”, ribadisce il prof. Galli. “Noi stiamo riaprendo la Lombardia senza avere uno screening epidemiologico ampio”, sostiene ancora De Rosa di Technogenetics. E questo, farebbe capire, perché i test del San Matteo, richiedendo il prelievo di sangue, richiedono anche molto più tempo a disposizione e comprensibilmente se ne sono fatti molti meno rispetto a quelli rapidi. “Se non ci accorgiamo immediatamente di un focolaio che riparte ci ritroveremo in grandissimo imbarazzo”, spiega ancora Massimo Galli.
Sul contratto che regola il rapporto tra il San Matteo e la Diasorin, l’azienda farmaceutica che è titolare del test a prelievo, è scritto che la Diasorin corrisponderà alla fondazione dell’Ospedale, a partire dalla prima vendita e per i successivi 10 anni, una rojalty al tasso dell’1% sul prezzo netto di ciascun kit venduto. “No comment”, è di nuovo la risposta del Prof. Galli. Poco dopo la validazione di quel test i titoli della Diasorin hanno guadagnato in borsa molto e Regione Lombardia ne ha comprati 500mila kit, per un valore di 2 milioni di euro. Dopo che quell’accordo è stato reso pubblico, Baldanti si è dimesso dal comitato scientifico della Lombardia.
Sul fatto che Regione Lombardia abbia comprato quei kit con affidamento diretto, senza gara, abbiamo sentito Renato Bonaita, presidente di confindustria Assodiagnostici: "Ho rilasciato un’intervista, dopo la quale io mi sono dimesso dal mio ruolo. Diciamo che se il 99% delle aziende erano contente del fatto che ci fosse qualcuno che diceva come stavano le cose, un 1% si è incazzato molto. E ha minacciato molte cose… Io però non contestavo un’azienda ma il metodo”.
Nel frattempo la Technogenetics, ha fatto ricordo al Tar della Lombardia, che ha fissato un’udienza per questo mercoledì. Gaetano Pecoraro prova a chiamare il prof Baldanti, che però non vuole rilasciare nessuna intervista. “È una storia nella quale io non c’entro niente”, dice e riattacca il telefono.