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Morte di Maria Paola, Daniela: “Anch'io ero il mostro, oggi papà mi ha riconosciuta donna” | VIDEO

Daniela Lourdes Falanga, presidente di Antinoo Arcigay Napoli, parla con Iene.it della tragedia di Maria Paola Gaglione. La 20enne è morta dopo uno scontro in motorino con il fratello, accusato di omicidio preterintenzionale: avrebbe speronato il motorino della sorella perché contrario alla sua relazione con un ragazzo trans

“La morte di Paola è avvenuta nella maniera più assurda possibile. Sono venute a confluire due questioni fondamentali: si tratta sia di femminicidio e che di transfobia. C’è un’idea predominante sulla donna che deve sottostare a regole familiari patriarcali. E poi dall’altra parte c’è Ciro, che è l’uomo trans, il mostro, la persona che infettava la ragazza”.  Daniela Lourdes Falanga, presidente dell’Antinoo Arcigay Napoli, commenta così la morte di Maria Paola Gaglione, avvenuta nella notte tra l’11 e il 12 settembre. La stessa Daniela, donna trans, ha vissuto sulla sua pelle la discriminazione e il rifiuto: quando, come racconta, veniva considerata “un mostro” dalla sua stessa famiglia.


Maria Paola Gaglione era a bordo di uno scooter con il suo compagno trans, Ciro Migliore. I due si sarebbero scontrati con un altro motorino, guidato dal fratello della ragazza, Michele. Secondo la procura di Nola non si sarebbe trattato di un incidente. Michele avrebbe speronato il motorino su cui viaggiava la sorella perché contrario alla sua relazione con Ciro. Nell’udienza preliminare il gip ha appena convalidato il fermo di Michele Gaglione, accusato di omicidio preterintenzionale aggravato dai futili motivi. Michele e la sua famiglia sostengono si sia trattato di un incidente e non di una azione volontaria. L’avvocato di Gaglione ha dichiarato che Michele voleva solo parlare con la sorella per farla ragionare dal momento che questa era scappata di casa. “Non è vero che è stato un incidente”, ha detto Ciro, rimasto ferito nello scontro, in una conferenza stampa. “Mi è corso dietro, mi voleva per forza ammazzare. L’abbiamo incontrato per caso, me lo sono trovato dietro”.

Daniela, che potete vedere nell’intervista video qui sopra, ha avuto modo di parlare con Ciro dopo l’accaduto: “Gli ho detto che c’è tutto il supporto non solo della comunità Lgbt ma anche di chi comprende quanto è stato violato. Lui piangeva e chiede fermamente di poter vedere la sua ragazza prima dell’ultimo saluto. Spero che la famiglia di Maria Paola gli dia questa possibilità”.

Succede spesso che le famiglie rifiutino un figlio o una figlia trans o relazioni di questo tipo? “Ci sono ancora molti spazi di negazione”, ci dice Daniela. “Un miglioramento c’è. Fino a cinque anni fa al consultorio non arrivava nessuno ad accompagnare i propri figli. Oggi invece arrivano tantissime famiglie”. 

“Spero che questa storia renda evidente quanto sia importante avere una legge contro l’omotransfobia”, continua Daniela parlando del testo arrivato alla Camera. “Diciamo a quei politici che sostengono che leggi contro la violenza di genere esistono già che le persone trans, lesbiche, gay e bisessuali sono intercettate come tali e come tali vengono violate. Per questo ci vuole una legge ad hoc”. Con una legge del genere, afferma Daniela, episodi come questo “si potevano evitare perché questi ragazzi potevano avere uno spazio dove stare, come una casa di accoglienza dove vivere il loro amore. Una legge serve anche a questo”.

Daniela ha vissuto sulla sua pelle le difficoltà che ora aiuta gli altri a superare. “Quando ero un bambino mi era evidente che ero in un’altra parte del mondo, in un’altra parte della mia identità. Lo capivo quando attraversavo la scuola e avevo il grembiule blu, quando non potevo ballare, non potevo giocare con le bambine”. Una consapevolezza che Daniela ha deciso di esternare alla sua famiglia a 17 anni: “L’ho fatto quando ho saputo che potevo essere una donna trans, che c’era questa opportunità. L’ho saputo vedendo Maurizio Costanzo che intervistava Eva Robin’s, che si dichiarava una donna trans”.

Come l’ha presa la sua famiglia? “Ho dovuto far fronte a reazioni terribili. Mio padre inviò una lettera alla mia famiglia per far sì che tutti si allontanassero da me. Io ero il mostro”. L’infanzia di Daniela è a Torre Annunziata, provincia sud di Napoli, in una famiglia già difficile: figlio primogenito di un boss della camorra, condannato poi a scontare la sua pena nel carcere di Rebibbia. Ed è da questo carcere che, racconta Daniela, il padre mandò quella lettera per tenere lontani i familiari da lei. Solo 25 anni dopo, durante un incontro fortuito in una scuola dove Daniela parlava di transfobia e il padre recitava come attore insieme ad altri detenuti in un’iniziativa contro le discriminazioni di genere, ci sarà un riavvicinamento. “Ci siamo visti”, racconta Daniela, “in quel momento lui ha riconosciuto la donna che ero e si è complimentato per quello che ero diventata”.

Anche Daniela, come Maria Paola, è fidanzata con un uomo trans. Le famiglie li hanno mai osteggiati? “No, ma c’è da dire che la nostra consapevolezza è talmente alta che sapremmo in ogni caso difenderci. Per questo è importante sapersi raccontare. Per questo è importante che questi ragazzi e ragazze vengano al consultorio. Il Consultorio InConTra, nell’ambito “Assistenza Consultoriale Medicina di Genere” dell’ASLnapoli3Sud, è il primo in Italia a offrire un aiuto in maniera completamente gratuita. Perché la libertà non si paga, la libertà è un diritto fondamentale umano. Diamo a questi ragazzi la possibilità e l’energia per potersi regalare la libertà”.

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