Morto detenuto di Voghera. Il figlio: “Il medico si è rifiutato di visitarlo” | VIDEO
Antonio Ribecco è morto di coronavirus nel carcere di Voghera. A Iene.it Giulia Innocenzi intervista il figlio Domenico che parla di una morte evitabile. Questa pandemia sta causando gravi disagi al sistema carcerario italiano, detenuti e agenti di polizia penitenziaria non si sentono al sicuro
“Il 9 aprile mi chiama la dottoressa e mi dice che mio padre probabilmente non sarebbe arrivato oltre quella giornata. Quando ho richiamato per chiedere come stava era morto”. A parlare è Domenico, il figlio di Antonio Ribecco, detenuto nel carcere di Voghera quando si è ammalato di coronavirus. Il virus gli è stato fatale.
Antonio di trovava in carcere in attesa di giudizio con un’accusa molto grave, quella di essere il boss della ‘ndrangheta in Umbria. Il figlio Domenico con Giulia Innocenzi a Iene.it puntualizza: “Mio padre poteva anche essere accusato di cento anni carcere, però il diritto alla salute non doveva toglierlo nessuno”.
Quando Ribecco avverte i primi sintomi di coronavirus chiede al medico di essere visitato, ma questo si sarebbe rifiutato, come racconta il figlio. Tant'è che un agente gli avrebbe fatto un richiamo. Il detenuto era talmente preoccupato per le sue condizioni di salute che nell'ultima lettera che scrive ai familiari dice testuale: “Sappiate che qualsiasi cosa succede vi voglio bene”.
E una seconda lettera, invece, arriva dal compagno di cella di Ribecco, per informare il figlio Domenico sulle condizioni del padre. Molto di quello che Domenico sa degli ultimi giorni di vita di suo padre, l’ha appreso da quella lettera. “Non gli era stato dato nulla per sanificare la cella. Quando hanno scoperto che stava male l’hanno messo in isolamento e lì non gli davano né da mangiare né da bere. Mentre l’ambulanza lo portava in ospedale gli è stato negato di telefonare a noi, la sua famiglia, oltre che un bicchiere d'acqua che aveva chiesto”. Alcuni suoi compagni di cella, sempre secondo quanto ci racconta Domenico, si sarebbero poi ammalati di coronavirus.
Domenico ha detto di aver denunciato il carcere: “Non è mi stata data immediata comunicazione delle condizioni di mio padre. Prima di scoprire che era entrato in terapia intensiva sono passati quattro giorni, e l’ho scoperto per via non ufficiale”. Persino la notizia della morte sarebbe arrivata in ritardo dal carcere: “quando mi hanno chiamato gli ho detto che già lo sapevo”.
Abbiamo chiesto conferma di quanto detto da Domenico al carcere di Voghera, il direttore ci fa sapere che “hanno fatto tutti gli interventi di competenza prontamente, nel rispetto dei tempi e modalità giudiziarie e amministrative e che l'istituzione non ha trascurato nulla”.
Il coronavirus nelle carceri non spaventa solo i detenuti e i loro familiari. Un agente della polizia penitenziaria di Bollate ci ha contattato per denunciare le condizioni in cui lavorano. “Nel carcere di Milano Bollate ci sono stati circa quindici casi tra detenuti e agenti. Ci forniscono delle mascherine monouso che dobbiamo usare più di una volta. Ma la cosa più grave è che nessuno ci ha fatto i tamponi”.
La direttrice del carcere di Bollate ha replicato affermando che “ci sono stati 9 casi positivi tra gli agenti e 5 tra i detenuti, ma oggi non ci sono casi”. Ci scrive anche che “per valutare i casi positivi sono stati fatti 84 tamponi, la scelta di chi testare ha seguito le indicazioni delle autorità sanitarie. In ultimo, le mascherine sono fornite con regolare cadenza ogni due turni di servizio”.
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