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Uccise il papà violento, “fu legittima difesa”. "Ma le istituzioni ci hanno abbandonato"

Il 19 maggio 2019 Deborah Sciacquatori, 19 anni, per difendere se stessa, mamma e nonna accoltella il padre, ex pugile pregiudicato e con problemi di droga che da anni le picchiava. Iene.it ha sentito lo zio della ragazza: “Dov’è finito l'aiuto per un lavoro che il comune di Monterotondo promise all’epoca a mia sorella Antonia?”. Lo abbiamo chiesto al sindaco Riccardo Varone

Deborah non andrà a processo, per i giudici ha ucciso il padre per legittima difesa. Noi vi avevamo raccontato la sua storia in questo articolo, esattamente un anno fa. E, nel servizio di qui sopra, una storia purtroppo drammaticamente simile ma con esito giudiziario diverso, quella di Luigi Celeste.

Deborah Sciacquatori, all’epoca diciannovenne, il 19 maggio 2019, durante una colluttazione aveva ucciso il padre in provincia di Roma, dopo anni di violenze e maltrattamenti in famiglia. Il gip di Tivoli, accogliendo la richiesta della procura, ha archiviato l’indagine a suo caric, perché la giovane agì “per legittima difesa” contro un padre che, come è scritto nella motivazione, “per anni ha imposto il terrore negli animi di tutte le figure femminili della sua famiglia” e le ha indotte a vivere “nella paura di potere essere uccise in qualsiasi momento”.

"Non vi è dubbio alcuno”, spiega la procura di Tivoli, “sulla base dell'inequivoca ricostruzione dei fatti che la ragazza si sia trovata di fronte a un pericolo imminente e attuale per la sua vita, per quella della madre e della nonna. Un pericolo derivante dall'escalation violenta della vittima, iniziata all'interno dell'appartamento e proseguita dopo aver interrotto la fuga delle donne e averle affrontate e aggredite".

Abbiamo raggiunto telefonicamente Rocco Carrassi, zio di Deborah e fratello della moglie dell’uomo ucciso (Lorenzo Sciaquatori): “Deborah continuerà la sua vita ma certo non si può dire che si sia messa alle spalle questa storia. Come si fa? Certo lo stato d’animo è migliore ma non c’è nulla da festeggiare, una persona comunque non c’è più. Però c’è la volontà di andare avanti, con il ricordo, ma di andare avanti. Anche mia sorella cerca di avere un’esistenza finalmente libera, anche se non libera mentalmente perché questa storia è ancora troppo fresca”.

Rocco Carrassi, che avevamo già sentito subito dopo il delitto è amareggiato per il mancato aiuto, un lavoro, che a suo dire sarebbe stato promesso all’epoca dalle istituzioni del suo comune, Monterotondo, che sostiene essere “letteralmente scomparse”: “Sono state fatte tante chiacchiere all’epoca, in cui si era in campagna elettorale. Si era parlato di un appoggio alla famiglia, di un aiuto per un lavoro a mia sorella Antonia, un lavoro che non è mai arrivato. Mai. Io adesso mi sono stancato di rivolgermi alle istituzioni, di stare a pregare, ci ho rinunciato. All’epoca e durante tutti questi anni di sofferenze ci hanno sempre aiutato per come hanno potuto, solo i carabinieri di Monterotondo e anche gli assistenti sociali, in minima parte perché quando c’era in casa mio cognato evitavano anche di venire, per paura. Ora mia sorella, che ha 45 anni, fa lavoretti saltuari. Quando c’era lui non ha mai potuto trovare un lavoro fisso, perché lui la voleva sempre alla sua presenza, lui chiamava e mia sorella doveva correre”.

E allora quell’appello che lo zio di Deborah dice di essere stanco di fare, ormai sfiduciato, lo rivolgiamo noi de Le Iene, affinché alla signora Antonia, mamma di Deborah, possa almeno essere garantita la tranquillità di un lavoro stabile per portare avanti quello che resta della sua famiglia. Abbiamo sentito a questo proposito il sindaco di Monterotondo, Riccardo Varone: “Spero adesso che attraverso una serie di procedure che potremo attivare con i nostri uffici e con dei progetti di inserimento lavorativo anche la famiglia di Deborah riesca a trovare una soluzione. Non è che non mi voglio sbilanciare ma so anche che da sindaco non è che posso dare la garanzia certa che un mio cittadino troverà subito lavoro. Quello che però le posso garantire è che la situazione particolare della famiglia di Deborah verrà valutata e attenzionata, questo sì. Sarei un po' ipocrita se le dicessi che subito si troverà per la mamma di Deborah un lavoro, ma della situazione me ne prendo cura, questo lo prometto, sperando che i tempi non siano biblici...”. Ringraziamo il Sindaco Varone e promettiamo, come sempre fatto, di continuare a seguire la situazione.

All’epoca la ragazza, subito dopo l’arresto, aveva raccontato che il padre, un 41enne disoccupato, con precedenti penali e in cura al Sert per uso di droghe, era da tempo violento nei suoi confronti, come anche della moglie e della suocera. La mattina del delitto, aveva raccontato Deborah, l’uomo, ubriaco, “ha iniziato a inveire contro mia mamma Antonia. Impaurita ho preso la nonna e ci siamo chiusi in una stanza. Ho preso un coltello dalla cucina per difendermi, non per uccidere”. Le donne sarebbero riuscite a uscire di casa, ma il padre le avrebbe raggiunte nell’androne del palazzo, dove Deborah lo ha bloccato e ne ha provocato la morte, con una coltellata. Agli inquirenti l’allora 19enne ha poi raccontato che la mamma era ormai una “schiava” del padre che la picchiava e la umiliava.

Un racconto purtroppo simile, ma con esito giudiziario diverso, a quella di Luigi Celeste nel drammatico servizio che potete vedere sopra. “Sparai verso mio padre, scaricai l’intero scaricatore”. Inizia da qui il racconto di quel 20 febbraio 2008, quando 23enne ha impugnato una Beretta e ha sparato contro suo papà. Un papà violento, come lui stesso aveva raccontato: “Nella sua vita ha scontato più di 23 anni di carcere”, dice il figlio. “Sfogava la sua debolezza mentale con la gelosia verso nostra madre che ha perso tutti i denti per le botte prese da lui”.

Per averlo ucciso Luigi viene condannato a 12 anni di carcere, poi ridotti a 9: “Mi sono detto che dal carcere doveva rinascere una nuova persona. Ho iniziato a studiare buttandomi a capofitto nell’inglese e nell’informatica”. Frequenta corsi di networking che possono dargli un’opportunità lavorativa una volta uscito. Dopo un anno di reclusione, sostiene un esame ed è il primo detenuto in Italia a ottenere questa certificazione.

Oggi è un uomo libero. È un tecnico specializzato nella sicurezza informatica e riesce anche a girare il mondo. Rispetto al passato  dice rimorsi. “Uccidere una persona è sbagliato, ma quando non hai alternative per vivere… Io sono a posto con la mia coscienza. Non avevo alternative”. 

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