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Pescatori sequestrati: i ministeri rispondono al nostro servizio, ma qualcosa ancora non torna | VIDEO

Nota congiunta, dopo il servizio di Silvio Schembri sul sequestro di 18 italiani in Libia che rivedete qui sopra, dei ministeri degli Esteri e della Difesa: “Nessuna motovedetta italiana ad Haftar”. Allora chi attacca i nostri pescatori? L’ambasciatore libico: “Parole strumentalizzate”. Ma appare in diretta tv con la madre di uno dei presunti calciatori arrestati in Italia

Qualche giorno fa vi abbiamo parlato dei 18 pescatori di Mazara del Vallo detenuti in Libia dall’esercito del generale Haftar di Bengasi dopo essere stati fermati in acque internazionali durante una battuta di pesca da una motovedetta libica. Quello specchio di mare viene rivendicato come “Zona economica esclusiva” dalla Libia, anche se nessuna comunità internazionale riconosce questo diritto.

Nel servizio del nostro Silvio Schembri che rivedete qui sopra, abbiamo raccontato il dolore delle famiglie, ma anche un problema con cui i pescatori della marineria di Mazara del Vallo convivono da alcuni anni: l’assenza della “Vigilanza pesca”, un servizio svolto dalla Marina militare italiana a sostegno di tutte le navi e pescherecci battenti bandiera italiana che si trovano nelle acque di fronte alla Tunisia e alla Libia, che, nel Mediterraneo orientale, da un paio d’anni non funzionerebbe più. Anche la notte del sequestro dei nostri 18 pescatori era stato lanciato l’allarme, ma nessuno è riuscito ad intervenire in tempo.

Tra le stranezze di cui vi abbiamo parlato c’è anche un presunto accordo per il trasferimento di prigionieri tra l’Italia e la Libia, di cui si è discusso soltanto pochi giorni prima del sequestro dei pescatori italiani, così come dimostra il video di una tv libica in cui interviene proprio l’ambasciatore libico in Italia. Questo perché il generale Haftar avrebbe chiesto la liberazione di quattro presunti calciatori detenuti in Italia con l’accusa di essere trafficanti di uomini, condannati a 30 anni di carcere.

In seguito alla messa in onda del nostro servizio, il ministero degli Esteri e il ministero della Difesa hanno voluto chiarire alcuni aspetti trattati nel servizio. I due ministeri, con una nota congiunta, dicono: "Il Governo italiano riconosce esclusivamente il governo di Tripoli, unico considerato legittimo dalla Comunità Internazionale e dunque dalle Nazioni Unite. È quindi ovvio che non sia in vigore tra l’Italia e una istanza non riconosciuta alcun trattato sullo scambio di detenuti (il video dell’ambasciatore Omar Al Tarhouni che avete trasmesso non a caso è stato smentito dall’ambasciatore in persona nelle ultime ore)”.

Le cose però non sembrano stare esattamente in questi termini. L’ambasciatore libico in Italia ha detto che il suo intervento nella tv libica “è stato usato a fini strumentali e non corrisponde affatto a ciò che ho realmente detto”. Anche se sembrerebbe smentire se stesso e non il nostro servizio, dato che nella sua dichiarazione - di cui noi abbiamo mandato in onda solo una parte - si riferisce esplicitamente alla detenzione in Italia dei quattro calciatori/scafisti condannati a 30 anni di reclusione a Catania.

Durante la trasmissione infatti l’ambasciatore è in collegamento telefonico, trasmesso in diretta dalla tv libica, con la madre di uno di questi e pronuncia alcune frasi inequivocabili. All'intervistatore, che gli chiede se la madre del ragazzo detenuto in Italia potrà rivedere il figlio in Libia e "se avverrà uno scambio di prigionieri”, l’ambasciatore risponde: “Voglio rassicurarla sulla situazione riguardante suo figlio e i giovani calciatori. C'è un accordo al vaglio del ministero della Giustizia italiano e di quello libico. ll 19 giugno 2019 è stata accordata una data definitiva per l’approvazione da parte di entrambe le parti. Tre settimane fa abbiamo presentato una richiesta di revisione delle carte o, in alternativa, uno scambio di prigionieri basato sull’accordo in lavorazione tra l’Italia e la Libia”.

Ma il concetto di “scambio” viene ripetuto anche in altre parti dell’intervista all’ambasciatore: “Purtroppo a oggi non è ancora stato né firmato né approvato questo accordo di scambio, se dovessimo raggiungere questo accordo con l’Italia potremmo riportare in Libia i nostri giovani. Quando parliamo dei detenuti mi riferisco ai giovani condannati a 25 e 30 anni”.

D’altra parte esiste nei documenti ufficiali del ministero della Giustizia italiano una precisa traccia di un Trattato internazionale con la Libia, di cui l’ambasciatore è il legittimo rappresentante, in tema di “Trasferimento di detenuti tra l’Italia e la Libia”. I contenuti di questo trattato, tra l’altro, non ci risulta siano pubblici. Per di più, l’intervista all’ambasciatore libico che abbiamo trasmesso risale al 23 agosto 2020, cioè una settimana prima del sequestro dei pescatori mazaresi da parte delle milizie di Haftar.

Il ministero degli Esteri e quello della Difesa italiani inoltre hanno precisato che “lo Stato italiano non ha mai fornito alcuna motovedetta alle istanze della Cirenaica (cioè alle milizie del generale Haftar). Nel servizio de Le Iene il giornalista, testualmente, dice: «Quindi noi abbiamo regalato le motovedette ai libici e loro li usano per attaccare i nostri pescatori. Esattamente quello che è successo il 1° settembre». Questo, alla luce di cui sopra, è totalmente falso”. (Noi in realtà abbiamo detto "esattamente quello che sarebbe successo…").

E questo è il punto che proprio non riusciamo a comprendere: c’è un video che parla chiaro e mostra una delle motovedette donate dall’Italia alla Libia (la 654) mentre tenta di abbordare un peschereccio italiano. In quell’occasione la motovedetta libica viene messa in fuga da un elicottero e da una unità navale della nostra Marina Militare, intervenuti a protezione del motopesca.

Ma se motovedette come quella ripresa nel video non sono in possesso delle milizie di Haftar, come sostengono nella nota i ministeri, allora a chi risponde quella ripresa nel video mentre fugge dopo aver tentato di abbordare un nostro peschereccio? La risposta ce la dà la stessa nota governativa: "L’Italia, come altri Paesi europei, ha fornito, nel tempo, alle legittime Autorità di Tripoli strumenti e mezzi (tra cui la motovedetta PV Sabratha 654, che però è in riparazione in Italia dal 3 agosto) per le attività di contrasto al traffico di esseri umani”.

Il che renderebbe forse ancora più grave quanto abbiamo documentato, perché se quella motovedetta (la 654) era agli ordini di Sarraji e delle autorità di Tripoli (e quindi del governo riconosciuto anche dall’Italia), si tratterebbe di un attacco messo in atto da chi viene costantemente aiutato e supportato dall’Italia.

Sempre secondo la nota dei due Ministeri, però, nel nostro servizio c'è altro che non quadra: "Nel caso specifico, al momento dell’acquisizione dell’informazione riguardo il fermo del motopesca Natalino, l’unità navale più vicina navigava ad oltre 115 miglia nautiche di distanza. Le possibilità di intervento fuori dalle acque territoriali libiche sono state precluse dalle distanze in gioco (tra le 5 e le 6 ore di navigazione), dalla vicinanza del motopesca alle acque territoriali libiche, dalla dinamica dell’evento che ha visto il personale militare libico presente a bordo del motopesca già alla ricezione dell’informazione dell’abbordaggio”.

Ma noi, in realtà, non abbiamo mai parlato di un intervento di una unità navale, ma di un elicottero, come riferitoci da chi ha chiamato gli aiuti. Infatti questo intervento sarebbe stato promesso ai pescatori vittime dell’attacco. Un elicottero dedicato alla Ricerca e soccorso in mare viaggia infatti a una velocità di almeno 90/100 miglia orarie e in circa un'ora di volo avrebbe potuto quindi essere sul punto dove la motovedetta libica stava fermando i pescherecci italiani, a circa 30 miglia dalla costa libica, ben al di fuori delle 12 miglia delle acque territoriali. E le operazioni non sono durate mica poco: i pescherecci italiani, sotto la minaccia delle armi, hanno navigato per diverse ore, almeno 5 - prima di entrare nelle acque territoriali libiche riconosciute. Il che lascerebbe pensare che il tempo per intervenire era sufficiente.

Nulla dice invece il comunicato sul punto principale: il fatto pacifico e non smentito che le nostre autorità militari intimano ai nostri motopesca di non entrare nell’area delle acque internazionali autodichiarata come “Zona esclusiva” dalle autorità libiche e controllate dalle motovedette di Haftar, la cui autorità, come dichiara la stessa nota ministeriale, l’Italia non riconosce.

Il ministro Di Maio ha sostenuto che i pescatori fossero in una zona dove non dovevano andare in quanto zona di guerra dichiarata ad alto rischio. Quello che rimane da capire è come quel tratto di mare possa essere considerato “zona di guerra” se nessuna delle due fazioni libiche dispone di effettiva forza navale.

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