Prima del paziente 1: “Ricoverato il 2 febbraio a Lodi: avevo il coronavirus?”
Xhoni Mustafaraj, calciatore professionista di 18 anni che vive a 15 chilometri da Codogno, ci ha contattato per raccontarci la sua storia. Con febbre alta, difficoltà a respirare, perdita di gusto e olfatto è stato ricoverato il 2 febbraio a Lodi, rimanendo per due settimane con la maschera di ossigeno in terapia intensiva. La settimana scorsa ha fatto il test sierologico: ha sviluppato gli anticorpi al Covid
Si parla sempre più spesso, analisi epidemiologiche alla mano, del fatto che ci potrebbero essere stati già casi di coronavirus in particolare nella “zona rossa” in Lombardia prima del paziente 1, Mattia, che il 21 febbraio a Codogno (Lodi) ha segnato l’inizio dell’epidemia in Italia. Xhoni Mustafaraj, 18 anni, ricoverato venti giorni prima, il 2 febbraio a Lodi, con febbre alta, difficoltà a respirare e perdita di gusto e olfatto e rimasto per due settimane in terapia intensiva (foto sopra) può essere uno di questi? Può avere contagiato qualcuno visto che per lui non sarebbero state applicate le procedure anti Covid dato che la pandemia in Italia non era ancora iniziata, almeno ufficialmente e lui non aveva avuto contatti con persone provenienti dalla Cina? Sono i suoi dubbi, per questo ci ha contattato, “per essere utile”.
Xhoni o “Johnny”, come si pronuncia il suo nome in albanese secondo le origini dei genitori, ci ha contatto dopo che il 20 maggio proprio per questi dubbi si è sottoposto al test sierologico ed è risultato che non ha il Covid ora ma che in passato ha sviluppato gli anticorpi. Insomma avrebbe avuto la malattia, anche se il test sierologico non dà ancora certezze assolute. Vive a San Martino in Strada a 15 chilometri da Codogno con i genitori che hanno un ristorante, studia e fa il calciatore professionista nella Pergolettese in serie C.
Cosa è successo Xhoni?
“Già il giorno prima non mi sentivo benissimo. Era sabato primo febbraio: ho giocato e fatto anche un goal, dopo però ho iniziato a sentirmi male, avevo 38 e mezzo di febbre, soprattutto facevo fatica a respirare e non ce la facevo a muovermi. I miei genitori mi sono venuti a prendere, mi hanno portato letteralmente in braccio a letto e poi hanno chiamato il 118, mi hanno ricoverato nella notte”.
All’ospedale com’è andata?
“In ambulanza mi hanno messo una mascherina, ma nessuno pensava ancora al coronavirus. Solo un infermiere una volta ha chiesto a un altro: ‘Ma quali sono i protocolli per il Covid?’. Avevo alcuni valori del sangue sballati e non respiravo bene: mi hanno ricoverato per due settimane in terapia intensiva con la maschera per l’ossigeno. Sono rimasto cosciente ma stavo malissimo. Avevo perso anche il gusto e l’olfatto”.
Poi?
“In terapia intensiva sono venuti a trovarmi amici e parenti, potevano entrare senza mascherina. Dopo sono stato altre due settimane in reparto, in una stanza da solo. Non vorrei aver contagiato qualcuno e spero che il mio racconto possa essere utile. Mi hanno dimesso il 26 febbraio, la diagnosi era rabdomiolisi (dovuta alla rottura di alcune cellule muscolari e al loro rilascio nel sangue, ndr).
Non ti hanno fatto un tampone?
“No, ormai l’emergenza era esplosa, lo capisco. Ci ho messo due mei a riprendermi, ero spossato. Mio padre ha accusato sintomi simili con febbre alta e gli hanno detto al telefono di stare almeno due settimane a casa. Anche per questo voglio capire se ho avuto il coronavirus”.
Quando hai fatto il test sierologico?
“Il 2o maggio. Risulta che non ho il Covid ma che ho sviluppato gli anticorpi, quindi l’avrei avuto. Devo fare anche il tampone per sicurezza. Ho mandato l’esame anche all’ospedale di Lodi, che mi ha confermato la presenza degli anticorpi: hanno detto che mi daranno una risposta”.