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Ristoratore in sciopero della fame: “Con le nuove regole ci fate chiudere” | VIDEO

Una settimana fa un gruppo di ristoratori milanesi, durante un flash mob di protesta contro le nuove distanze imposte nei locali, sono stati sgomberati e multati dalla polizia. Paolo era uno di loro e da quel giorno è accampato in tenda, in sciopero della fame. In questo video spiega a Iene.it le gravi conseguenze, per i locali italiani, di queste nuove regole che dovrebbero entrare in vigore

Paolo Polli si rivolge a Iene.it dall’Arco della Pace, a Milano. Una piazza che da una settimana è diventata la sua casa, da quando ha deciso di iniziare lo sciopero della fame e si è accampato in una piccola tenda. La sua è la protesta di decine di migliaia di ristoratori, che in tutta Italia stanno dicendo un secco no alle possibili misure di cui si parla per la riapertura dei locali come ristoranti e bar.  

Paolo è in piazza, in sciopero della fame, da quando una settimana fa una pacifica protesta, un flash mob, si è tramutato in una piccola “rivoluzione”, con tanto di multe. Savino Tolentino, uno dei 4 ristoratori che con Paolo Polli aveva deciso di dare avvio al flash mob, racconta quel giorno: "Eravamo stati autorizzati, ma solo informalmente, a patto che rimanessimo noi 4. Poi però quando hanno iniziato a vedere le dirette tv, si sono aggiunti inevitabilmente decine di altri colleghi, anche se tra noi abbiamo rispettato le misure del distanziamento sociale. Alla fine Paolo ha preso 400 euro di multa e con lui un’altra decina di nostri colleghi ristoratori. Da allora Paolo è in piazza, in sciopero della fame”.   

Paolo Polli ci spiega le ragioni di questa protesta. “Quel giorno ho visto ristoratori piangere davanti a tutti dopo avere preso la multa. Ora io sono qui, in sciopero della fame da una settimana, perché voglio sensibilizzare il governo affinché cambi le regole che hanno pensato per la nostra riapertura, per farci continuare a vivere con dignità”. Le nuove misure, avanzate da un protocollo stilato da Inail e Iss, prevedrebbero innanzitutto almeno due metri di distanza tra i tavoli di un locale, con uno spazio personale per singolo cliente di 4 metri quadrati. 

Una follia, secondo Paolo e i suoi colleghi: "Non è immaginabile entrare in un ristorante e stare distanti due metri da un’altra persona. Vorrebbe dire far chiudere il 90% dei locali che ci sono in Italia. I distanziamenti attuali tra i tavoli sono di 40-50 centimetri, al massimo. Vi faccio un esempio pratico: in una pizzeria come la mia, dove avevo 46 posti, passerei ad averne 8 posti. Lo scontrino medio è di circa 15 euro. Quindi io, a occupazione piena e ipotizzando due turni, potrei incassare al massimo 240 euro per sera: davvero non ne varrebbe più la pena. Pensiamo poi a un pub: non è solo bere una birra, ma stare in compagnia, vicini, al bancone, facendo due chiacchiere. Il pub è destinato a scomparire. I ristoranti stellati forse avranno meno problemi di distanziamento, ma ne risentirà tantissimo il turismo, che per almeno un anno sparirà. Insomma, non c’è luogo, nella ristorazione, dove con queste regole ci sia la possibilità di sopravvivere”.   

Le richieste di Paolo al governo Conte sono chiare: “Chiediamo intanto di ridurre al massimo a 1 metro le distanze tra i tavoli. Noi vogliamo la possibilità di lavorare con le spese a zero, oppure di pagarle in proporzione al nuovo numero dei clienti. Non posso spendere in questo momento 1000 euro al mese di spazzatura quando la clientela diminuirà dell’80%: fateci pagare il 20% di spazzatura, non il 100%. Questo ci potrebbe intanto aiutare ad arrivare fino alla fine del Covid, con dignità. Lo sappiamo che è un tirare avanti, ma almeno ci farà rimanere in piedi”.  

Alla fine l’amarezza di Paolo è anche per una mancata visita: “Da giorni sono qui in piazza dell’Arco della Pace, a dormire in questa tenda, e da cittadino milanese con figli milanesi non ho ricevuto la visita del mio sindaco, Giuseppe Sala. Sono venuti tantissimi politici a trovarmi, anche se non abbiamo mai voluto politicizzare questa protesta, ma lui non è venuto. Le istituzioni sappiano che se si ferma questo settore si ferma il 25% del nostro pil. Cosa chiediamo adesso? Regione e Comune ci incontrino. Incontrateci, ma adesso, sono già 25 gli imprenditori italiani che si sono suicidati… Vediamoci e parliamone, ma subito”.

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