“Scieri fu ucciso”: chiuse le indagini su tre ex caporali, 20 anni dopo la morte del parà
Dopo oltre 20 anni dalla morte di Emanuele Scieri la procura militare di Roma avrebbe ricostruito che cosa sarebbe accaduto al parà, trovato morto appena 26enne nella caserma Gamerra della Folgore a Pisa. Tre ex caporali dell’allora 26enne sono indagati di violenza a inferiore mediante omicidio pluriaggravato. Anche noi de Le Iene ci siamo occupati di questa vicenda
“Emanuele Scieri fu ucciso e se soccorso per tempo si poteva salvare”. La procura militare di Roma ha concluso le indagini con questa ipotesi per la morte del giovane allievo paracadutista della Folgore avvenuta 20 anni fa. Il suo corpo senza vita è stato ritrovato nella caserma Gamerra della Folgore a Pisa. Tre ex caporali dell’allora 26enne sono indagati per violenza a inferiore mediante omicidio pluriaggravato in concorso. Secondo la procura militare di Roma Andrea Antico, Alessandro Panella e Luigi Zabara sarebbero i responsabili della morte di Scieri. Sono accusati di aver "cagionato con crudeltà la morte dell'inferiore in grado allievo-paracadutista"
Anche noi de Le Iene abbiamo provato a ricostruire le ultime ore di Emanuele. È il 13 agosto 1999, una settimana prima il parà ha prestato giuramento. Quel giorno va con i suoi commilitoni alla mensa per il pranzo. Poi raggiunge il magazzino del casermaggio, dove riceve lenzuola e coperte per la branda. Più tardi attorno alle 18 cena e subito dopo esce in libera uscita con alcuni parà. Visitano i luoghi principali del centro storico di Pisa. Attorno alle 20 fa due chiamate: la prima alla mamma e la seconda al fratello. Nulla fa presagire che quelle sarebbero state le ultime telefonate con Emanuele.
Due ore più tardi rientra in caserma. Si attarda a fumare una sigaretta lungo il viale che costeggia il muro perimetrale della caserma, vicino alla torre di asciugatura dei paracadute. Secondo il racconto del parà che è con lui, finita la sigaretta, Emanuele non rientra in camerata. Rimane nel cortile dove si trovava la torre di prosciugamento e il magazzino del casermaggio, un posto poco illuminato, per effettuare in tranquillità una telefonata. Di Emanuele per oltre 72 ore non si avranno più notizie. Nessuno però si allarma. Sono le 14 di lunedì 16 agosto, Emanuele viene ritrovato morto.
A scorgere il suo corpo senza vita sono quattro compagni. Hanno sentito il cattivo odore del cadavere in avanzato stato di decomposizione e hanno visto un piede destro che spuntava sul piano di un tavolo. “Il corpo era riverso in mezzo a tavoli in disuso e altri oggetti di magazzinaggio, accatastati alla rinfusa ai piedi della scala”, si legge nella relazione parlamentare. “Il corpo era gonfio, insanguinato, con una gamba su un tavolino e il marsupio sulla pancia”.
Che cos’è successo a Emanuele in quelle ore? La procura sembra avere le risposte alle tante domande rimaste in sospeso per oltre 20 anni. Il parà stava facendo una telefonata, quando sarebbe stato avvicinato dai tre ex caporali di reparto. Prima gli avrebbero contestato di aver violato le disposizioni che vietavano l’utilizzo di cellulare e l'avrebbero costretto a “effettuare subito numerose flessioni sulle braccia” scrivono dalla Procura “abusando della loro autorità”.
“Lo colpivano con pugni sulla schiena e gli comprimevano le dita delle mani con gli anfibi, per poi costringerlo ad arrampicarsi sulla scala di sicurezza della vicina torre di prosciugamento dei paracadute, dalla parte esterna, con le scarpe slacciate e con la sola forza delle braccia”, si legge nell'avviso di conclusione indagini. Mentre Scieri stava risalendo, “veniva seguito dal Caporale Panella che, appena raggiunto, per fargli perdere la presa, lo percuoteva dall'interno della scala e, mentre il commilitone cercava di poggiare il piede su uno degli anelli di salita, gli sferrava violentemente un colpo al dorso del piede sinistro”.
A questo punto Emanuele ha perso la presa cadendo da un’altezza non inferiore a 5 metri. La caduta gli ha causato fratture, traumi alla testa e ad altre parti del corpo. “Constatato che il commilitone, sebbene gravemente ferito, era ancora in vita”, ricostruisce la procura militare, Panella, Antico e Zabara invece di soccorrerlo “lo abbandonavano sul posto agonizzante determinandone la morte”. Secondo la procura, “il tempestivo intervento del personale di Sanità militare, da loro precluso, avrebbe invece potuto evitare”.