Sindrome della capanna, “Ero bloccata, non riuscivo a uscire di casa” | VIDEO
Annalisa ci racconta la sua paura ad uscire di casa dopo il lungo lockdown e di come l’ha superata. Gli esperti in alcuni casi parlano di “sindrome della capanna”. Ecco cos’è
“All’idea di uscire ero contenta, ma poi sull’uscio di casa mi sono bloccata e piangendo sono rientrata”. Annalisa dice di non saper descrivere bene la sensazione di paura che l’ha pervasa quando, dopo i mesi di lockdown, ha provato a uscire di casa dopo il 4 maggio, quando è iniziata la “fase 2”. Ansia e paura di uscire e incontrare persone sono alcune delle sensazioni che gli esperti racchiudo sotto la “sindrome della capanna”. “Chi ha questa sindrome ha paura del contagio, ma anche di trovare fuori un mondo diverso e le persone che fanno più fatica ad adattarsi al cambiamento si chiudono nel bozzolo”, spiega Roberto Ferri, presidente della Società italiana di psicologia dell’emergenza. Secondo le stime della Società italiana di psichiatria la sindrome della capanna potrebbe interessare un milione di italiani.
“Ogni volta che cambiamo certe abitudini di vita, poi riprenderle, sopratutto in una situazione traumatica come quella che abbiamo vissuto collettivamente con il coronavirus, può generare delle difficoltà di adattamento. Non è nulla di grave se non dura per un lungo periodo di tempo”, continua Ferri.
Arianna dopo svariati tentativi è riuscita finalmente a uscire di casa. “Più volte, quando i miei figli mi chiedevano di fare una passeggiata fuori, ho provato a uscire. Ma ogni volta sul portone mi bloccavo, scoppiavo a piangere e rientravo in casa”, racconta. “Un giorno, dopo essermi bloccata ho visto i miei figli che mi guardavano senza dire nulla. È lì che ho capito che la paura non poteva chiudermi in casa, che dovevo tornare a vivere. Ho preso i miei figli per mano e siamo andati a fare questa passeggiata. Avevo una paura che non riesco a descrivere. Forse ci sono altre persone che come me in questa fase hanno vissuto queste sensazione. Ma la paura non può bloccarci. Prima avevamo paura di morire adesso abbiamo paura di vivere. Non deve essere così”.
La sindrome della capanna, spiega Ferri, non è nata adesso. “Ora se ne sente parlare, ma è conosciuta già da tanti anni nel nord Europa, dove ci sono climi freddi in cui per molto tempo le popolazioni sono costrette a rimanere a casa e quindi poi fanno fatica a riuscire. È una sindrome che si è manifestata anche dopo l’attentato delle Torri Gemelle. Le persone avevano paura e facevano fatica a uscire di casa”.
Cosa bisogna fare per superare questa paura? “Si possono fare i primi passi all’esterno con qualcuno di cui ci si fida, come un familiare. E poi all’inizio magari è meglio rimanere nei pressi di casa. Se questo non dovesse bastare e la paura dovesse continuare si potrebbe a quel punto delineare una patologia e in quel caso rivolgersi a degli esperti”. L’impatto del coronavirus sulla nostra psiche, spiega Ferri, non è da sottovalutare: “Questo è un trauma collettivo, noi abbiamo riscontrato problemi di disturbo del sonno, uso e abuso di psicofarmaci e alcol. È un problema che va affrontato a 360 gradi, con un supporto non solo dal punto di vista sanitario ma anche del benessere psicologico della popolazione”.