L'inferno di Valerio, morto suicida in prigione | VIDEO
Nina Palmieri e Nicola Barraco ci raccontano il precipitare nella malattia psichica del giovane Valerio, morto suicida in un carcere in cui secondo i familiari non doveva assolutamente stare
Nina Palmieri e Nicola Barraco ci raccontano la storia di Valerio, precipitato nell’inferno della malattia mentale e morto suicida, tra il carcere (in cui non secondo i familiari non doveva stare) e le comunità in cui, sempre secondo la famiglia, non sarebbe stato seguito in modo efficace.
“Altissimo rischio di suicidio, la perizia diceva proprio questo, incompatibilità con il carcere”: racconta a Nina Palmieri, Maurizio, il padre del giovane romano morto suicida il giorno di San Valentino del 2017 a Regina Coeli.
“Sono ragazzi da aiutare, non da buttare come immondizia”, dice commossa la mamma a proposito di un figlio che mandava a casa messaggi come questo: “Io qui sto impazzendo, non ce la faccio più. Io sì sono pericoloso, ma per me”.
Valerio nasce con gravi problemi respiratori. Dopo il parto le sue condizioni sono difficili, fin dall’asilo poi accusa disturbi nel comunicare a parole, comportandosi a volte in modo molto strano. “Prendeva i gatti, li metteva nel trasportino e poi li immergeva in piscina come delle bustine da tè, ma non è mai morto nessun animale. Però queste cose non vanno bene e così cominciai a cercare aiuto”, dice la mamma.
Poco tempo dopo un dottore vuole vederci più chiaro e a seguito di un ricovero arriva la diagnosi di “borderline con marcati tratti maniacali”. “Dissero che il 90% dei ragazzi con questa patologia, con la crescita, rientrano da quel disturbo”, prosegue la madre.
Passano gli anni e Valerio inizia a girare per le strutture psichiatriche, in alcune delle quali, racconta ancora la madre riportando i racconti del figlio, sarebbe stato contenuto a letto con la forza.
L’adolescenza Valerio l’avrebbe passata tra cure forzate e uso abbondante di psicofarmaci: “Era cleptomane, se una cosa gli piaceva, se la ritrovava in tasca e non sapeva neanche lui come faceva. Fu trovato anche a bordo di un motorino che non era di sua proprietà”. “Non era per venderli, si voleva solo fare un giretto, li lasciava, li nascondeva..”, racconta il fratello. Insomma, sarebbe stata solo la conseguenza della sua patologia e di “impulsi di cleptomania”.
Valerio entra in carcere minorile, poi viene riconosciuto il suo vizio parziale di mente. Dal carcere passa alla prima di tante comunità terapeutiche dove avrebbe incontrato soggetti poco raccomandabili. “Come quel rapinatore seriale di 40 anni con anni di latitanza alle spalle”, racconta ancora la madre. “Gli è stato spiegato come si fanno le rapine, la cocaina, ..lì Valerio ha cominciato a toccare la cocaina…”.
Il ragazzo inizia la sua velocissima discesa all’inferno tra bravate e furtarelli. Entrato nel carcere di Regina Coeli per la prima volta, Valerio avrebbe tentato di tagliarsi la giugulare. Più di una perizia sosterrebbe che il giovane è a rischio suicidio e incompatibile con il carcere. Viene spostato in strutture coercitive, in una di queste si innamora di un’educatrice molto più grande di lui. Quando lei riprende la sua vita senza Valerio, lui precipita ancora di più nel baratro. Viene mandato intanto all’ospedale psichiatrico giudiziario di Secondigliano per qualche piccolo reato.
“Quando l’andavo a trovare mi piangeva il cuore: in mutande, senza niente, dentro a una cella”, racconta papà Maurizio. “Ogni posto dove andava gli cambiavano la terapia”.
La crisi di Valerio aumenta ancora di più e un giorno, tornato in libertà, viene fermato a bordo di un motorino che però questa volta è di sua proprietà. Non si ferma all’alt, l’avrebbe fatto perché terrorizzato dall’idea di poter tornare in quelle strutture. Il giovane ha raccontato la sua versione secondo cui sarebbe stato fermato in modo brutale, speronato e picchiato.
Viene arrestato per resistenza a pubblico ufficiale. Il giudice gli concede i domiciliari ma quando gli agenti vedono la sua casa, non la ritengono adeguata e lo rimandano in cella. “Aveva una montagna di documenti che dicevano che non era compatibile con il regime carcerario…”, ripete a gran forza la madre. Il giudice accoglie la richiesta di farlo uscire ma sembrerebbe che la direzione del carcere abbia deciso di trattenerlo all’interno della struttura per quasi tre mesi.
Secondo i giudici Valerio non avrebbe una grave patologia. Il risultato? Si spalancano nuovamente le porte di Regina Coeli. “È l’ultima volta che l’ho visto”, racconta commosso il padre.
Il ragazzo, che a quanto pare aveva il regime di grande sorveglianza, ha giusto il tempo di scrivere alcune lettere disperate alla famiglia, in cui racconta di non farcela più: “Mamma mi dispiace che avete questo figlio bacato, ma cosa ci posso fare io? Ho perso ogni cosa in questa carcerazione. Soffro troppo. Perdonate vostro figlio”
Poco dopo, il giorno di San Valentino del 2017, Valerio si impicca con un lenzuolo nel bagno del carcere.
Nina Palmieri incontra alcuni degli agenti penitenziari della struttura in cui Valerio si è tolto la vita: “Una sezione da 200 persone, tu da solo riesci a controllare 200 persone? Un controllo ogni 15 minuti non esclude che tu ti possa ammazzare. Se un soggetto è estremo dovevano mettere il massimo livello, la sorveglianza a vista”.
“Hanno sbagliato là, invece adesso stiamo pagando noi”, sostiene uno degli agenti che risulterebbero imputati per non aver evitato quella morte assurda. Incontriamo poi un'altra guardia carceraria, che conosce bene la sua storia e commenta parlando di “gente che non dovrebbe stare qui dentro con le patologie che ha…”.
La direttrice di Regina Coeli, dopo che le abbiamo chiesto un incontro, ci ha fatto sapere: “Io sono un esecutore degli ordini dell’autorità giudiziaria. Se il detenuto era rimasto in carcere è perché c’era scritto questo. È solo una storia che stanno tentando di portare avanti politicamente… Gli interessi personali ci sono sempre. Non voglio mischiarmi in questa storia montata ad arte”.