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Coronavirus e vaccinazioni, perché l'Europa è così indietro con le somministrazioni?

I paesi dell’Unione europea sono indietro rispetto ai loro partner nella somministrazione del vaccino per il coronavirus: in Israele è già stata inoculata per la prima dose il 28% della popolazione, ma anche Stati Uniti e Regno Unito viaggiano più veloci. Tra la rapidità nell’approvazione dei farmaci, l’inizio della campagna vaccinale e le procedure di inoculazione, ecco che cosa sta succedendo

Mentre la terza ondata di coronavirus sferza l’Europa, tutto il mondo corre verso la vaccinazione della popolazione. O meglio, c’è chi corre, chi cammina e chi invece zoppica: le differenze tra i paesi che hanno accesso al vaccino per il Covid sono profonde, e coinvolgono da vicino anche l’Italia. E che sollevano la domanda sul perché ci siano paesi così tanto più lenti di altri a inoculare la popolazione.

I dati infatti, in continua evoluzione e qui aggiornati al 17 gennaio, parlano chiaro: in tutto il pianeta sono state vaccinate con almeno una dose 42.2 milioni di persone in 51 paesi, secondo le informazioni raccolte da Bloomberg. Ma ci sono delle grandi differenze tra stato e stato, che vale la pena analizzare.

A essere più avanti di tutti è Israele, che ha inoculato con almeno una dose il 28,02% della popolazione. Un risultato sorprendente, anche se macchiato dalle polemiche internazionali per l’esclusione degli oltre 4 milioni di residenti nei territori occupati della striscia di Gaza e della Cisgiordania. In seconda posizione ci sono gli Emirati Arabi Uniti, con il 19,04% della popolazione vaccinata almeno una volta.

Dei grandi paesi a livello globale, a essere più avanti di tutti è il Regno Unito, che mentre viene travolto dalla terza ondata del virus ha inoculato il 6,34% della popolazione. Gli Stati Uniti invece sono al 4,2%, più indietro di Londra anche se sono stati i primi - il 14 dicembre - a iniziare la campagna vaccinale.

E l’Europa? Per adesso zoppica. Solo l’1,1% della popolazione ha ricevuto almeno una dose di vaccino per il coronavirus. Tra i 27 dell’Ue, l’Italia è il paese più avanti: ha inoculato oltre 1.1 milioni di persone, intorno all’1,9% della popolazione. Male invece la Francia, che è appena allo 0,65% delle persone inoculate. Com’è possibile che, nonostante gli accordi stretti con vari produttori internazionali, l’Europa sia così indietro?

Le spiegazioni sono varie: in primo luogo, rispetto ad altri paesi, la campagna vaccinale è partita più tardi. Gli Stati Uniti hanno iniziato il 14 dicembre, Israele il 19, il Regno Unito è stato il primo del mondo l’8 dicembre. L’Unione europea, invece, ha iniziato il 27 dicembre: oltre due settimane dopo Londra.

Il ritardo però non è stato solo logistico, ma anche tecnico: l’Ue è stata finora la più lenta ad approvare l’uso dei vari vaccini. Il Regno Unito ha dato il via libera a Pfizer il 2 dicembre, gli Stati Uniti l’11 mentre l’Ue il 21 dicembre. E lo stesso è - parzialmente - avvenuto con il vaccino di Moderna, approvato negli Stati Uniti il 19 dicembre, mentre in Ue (6 gennaio) e nel Regno Unito (8 gennaio) il via libera è stato dato molto dopo.

Infine, c’è il caso del vaccino di Astrazeneca: il Regno Unito lo ha approvato il 30 dicembre e lo sta utilizzando dal 4 gennaio, mentre gli Stati Uniti sembra siano state richieste ulteriori informazioni che non sarebbero disponibili prima di marzo. L’Unione europea, che sul vaccino di Oxford ha puntato forte, dovrebbe approvarlo non prima della fine del mese

Insomma l’Unione europea non solo ha iniziato più tardi degli altri con la campagna vaccinale, ma è anche stata lenta nell’approvare i prodotti: una lentezza che però - è importante sottolinearlo - è giustificata dalla rigidità e dalla severità con cui i dati sui vaccini vengono analizzati dagli enti regolatori europei.

Alla lentezza nell’approvare i farmaci, e al conseguente ritardo nel via alla campagna vaccinale, si aggiunge anche un ulteriore elemento: il Regno Unito ha deciso di non rispettare la prescrizione di inoculare una seconda dose a 3/4 settimane di distanza dalla prima per i vaccini di Pfizer e Astrazeneca, ma di allargare la fascia temporale fino a 12 settimane. Una decisione motivata con la volontà di dare una copertura seppur parziale a quante più persone possibile.

La scelta del governo inglese è stata criticata quasi unanimemente dal mondo scientifico. Anthony Fauci, capo della task force statunitense contro il coronavirus, si è detto contrario e ha annunciato che gli Stati Uniti non seguiranno questa procedura. E lo stesso ha fatto il Comitato tecnico scientifico italiano. Ancora più esplicita la Pfizer, che ha ricordato come non ci sia garanzia che una singola dose di vaccino dia copertura oltre i 21 giorni raccomandati per ricevere la seconda: insomma, potrebbe smettere di funzionare dopo tre settimane.

Questa decisione, per quanto controversa, ha portato il Regno Unito a usare quasi tutte le dosi di vaccino ricevute mentre negli Stati Uniti e nell’Unione europea è raccomandato di conservare almeno il 30% delle dosi ricevute per garantire la seconda inoculazione. E dunque, il numero totale dei vaccinati cresce più lentamente.

Insomma le tre cause principali del ritardo europeo nelle vaccinazioni sono queste: la velocità di approvazione delle autorità regolatrici, l’inizio della campagna vaccinale, le procedure utilizzate per inocularle. Non sembrano invece esserci problemi dal punto di vista delle forniture acquistate, che sono in tutti i paesi più che sufficienti a garantire il fabbisogno della popolazione.

Non c’è dunque nulla di cui preoccuparsi, almeno per il momento. Anche se un grave campanello d’allarme è suonato in tutta Europa: nei giorni scorsi Pfizer, in questo momento il principale fornitore di vaccini, ha annunciato un’unilaterale e temporanea riduzione delle dosi del 29%. Una decisione che ha scatenato una sdegnata reazione da parte delle istituzioni italiane ed europee, oltre che speculazioni -respinte dall'azienda - su possibili cessioni di queste dosi a paesi terzi.

Dopo giorni di polemiche infuocate, l’azienda ha fatto sapere che questa riduzione potrebbe portarsi solamente per una settimana anziché le 3 o 4 inizialmente previste. A ogni modo, questo segnerà un ulteriore rallentamento nella campagna vaccinale contro il coronavirus. 

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