Anche il gelo eccezionale è un effetto del riscaldamento climatico (al Polo Nord) | VIDEO
La facile obiezione alla Libero “ma fa freddo…” non vale per contestare i dati sul riscaldamento globale. Non solo perché questi dati si basano su medie scientifiche incontestabili e non su episodi singoli. Gli scienziati americani ora avvertono: le ondate di gelo eccezionale come quella che colpisce ora il Texas e tutti gli Stati Uniti sono dovute proprio ai cambiamenti climatici. Tutto parte dal Polo Nord, dove fa molto più caldo
“Riscaldamento climatico? Ma se fa freddo”. Quante volte abbiamo sentito questa frase per provare a contestare, in maniera troppo facile, l’emergenza ambientale? È finita pure, letteralmente, come titolo di apertura di Libero e nei frequenti attacchi del suo direttore editoriale Vittorio Feltri a Greta Thunberg.
Al di là del fatto che singole variazioni (più o meno freddo o caldo) non cambiano i dati scientifici inconfutabili sull’aumento delle temperature medie sul nostro pianeta, di cui vi abbiamo parlato nel servizio qui sopra con la nostra Nadia, uno studio ora mette pure in correlazione i due fenomeni.
Non però come la intende Libero. Anche le improvvise ondate di gelo sarebbero dovute infatti proprio al riscaldamento globale, che colpisce due volte in più rispetto alla media al Polo Nord, provocando uno spostamento di masse fredde verso sud.
La notizia arriva dall’America ed è collegata in particolare all’ondata di freddo eccezionale che sta colpendo gli Stati Uniti, soprattutto il Texas, con 5 milioni di persone rimaste senza elettricità, almeno 30 morti e temperature di molto sotto la zero e di 10/20 gradi inferiori alle medie stagionali. Mentre in Italia e in Europa siamo appena reduci dagli effetti gelidi dei venti siberiani del Burian.
“Quello che sta succedendo in Texas non può essere ignorato come se fosse del tutto naturale. Non sta accadendo nonostante il cambiamento climatico, è in parte dovuto al cambiamento climatico”, dice Judah Cohen, dell’Atmospheric and environmental research, un gruppo di scienziati che collabora con le agenzie federali statunitensi su meteo e clima.
Cohen è già coautore di uno studio sul decennio fino al 2018 che collega l’aumento delle tempeste invernali negli Usa a quello delle temperature nella zona artica, che procede a una velocità doppia rispetto al resto del pianeta. Questo surriscaldamento avrebbe cambiato il vortice delle arie gelide polari spingendo vento e perturbazioni artiche più a sud di quanto succedeva normalmente.
“Il vortice polare può allungarsi, prendere forme diverse e anche dividersi. C’è stata un’interruzione molto grande quest’anno”, dichiara Jennifer Francis, scienziata del Woodwell Climate Research Center, una delle organizzazioni più importanti al mondo nello studio dei cambiamenti climatici. “Abbiamo ancora molto da imparare su tutti questo. Penso che questo anno verrà studiato molto a lungo nel tempo””.