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Beppe, morto dopo 23 ore in Pronto soccorso: nessun colpevole | VIDEO

Giuseppe Ramognino è morto al Pronto soccorso di Moncalieri nel 2019 dopo 23 ore di attesa. Una vita ai margini, 78 anni: nessuno l’ha aiutato, era stato scambiato per un clochard. Con Roberta Rei vi abbiamo raccontato la sua storia e la sua triste e tragica fine

Giuseppe Ramognino era rimasto 23 ore in attesa nel pronto soccorso di Moncalieri prima di morire come vi abbiamo raccontato nel 2019 con Roberta Rei mentre le immagini della sua triste e tragica fine facevano il giro dell’Italia. Una vita ai margini, 78 anni, era morto da solo due anni fa nell'ospedale della cittadina vicino Torino. Nessuno se ne era accorto, nessuno lo aveva aiutato, era stato scambiato per un clochard.

L’inchiesta è stata appena archiviata: non sono state trovate responsabilità penali. Non si sarebbe potuto prevedere l'infarto intestinale che lo ha ucciso e Beppe non aveva avvisato nessun parente del suo arrivo al Pronto soccorso.

“Lui era un contadino. Un uomo semplice, forse un po’ schivo. La morte del fratello però lo ha turbato iniziando il declino”, raccontato i nipoti Laura e Massino a Roberta Rei. Lui si chiude in se stesso fino a isolarsi. “Non ci ha più fatto entrare in casa tenendo tutti alla larga”, dicono i parenti che vengono a sapere della sua morte dai giornali.

Tutto ha inizio la mattina dell’1 maggio 2019. Sono le 10.02, quando viene trovato per terra in un centro commerciale dove c’era la tabaccheria in cui passava ogni giorno. Viene trasportato d’urgenza al pronto soccorso di Moncalieri. Quando arriva in ospedale è solo e probabilmente confuso. Alle 10.43 viene visitato e nel referto i medici scrivono: “Vigile, mutacico, poco collaborante”.

Dopo quella visita passano 3 ore di attesa per altri accertamenti. Alle 13.33 l’infermiera che ha seguito la sua accettazione indica a Beppe la via d’uscita. Lo si vede dai filmati registrati dalle telecamere nella sala d’attesa del pronto soccorso. Pochi minuti dopo, alle 13.38 viene emesso il referto d’uscita con la motivazione di “disadattamento sociale”. Alle 13.41 però Beppe ricompare in pronto soccorso, entra e si siede in un angolo. “Probabilmente aspettava il suo turno perché non avendo firmato alcun documento, lui non sapeva di essere dimesso”, presume la nipote.  

Inizia una lunga attesa interrotta ogni 20 minuti per andare in bagno. Si vede che non sta bene tanto che alle 18 vomita in sala d’attesa. Nessuno gli chiede se ha bisogno d’aiuto. Passano le ore e il pronto soccorso si riempie di senzatetto che dormono per la notte, Beppe resta confuso tra loro. Sta male, si alza e va verso un’infermiera e si parlano. “Mi ha chiesto dove fosse l’uscita e non era visibile che stesse male”, dice la donna. Il tempo passa, arrivano le 4 di mattina, quando va di nuovo in bagno. Ci passerà due ore, fino a che un senzatetto si accorge di lui. Alle 6 di mattina un clochard si avvicina allo sportello dell’accettazione e indica il bagno. “Che cosa mi abbia detto non me lo ricordo”, sostiene l’infermiera che 10 ore prima aveva parlato anche con Beppe.

Le parole che avrebbe pronunciato il primo clochard sono scritte nei verbali. “Ha detto che c’era un signore in bagno che non apriva e non rispondeva”, racconta un testimone. Passerà un’altra ora e solo dopo la segnalazione di un altro senzatetto, interviene l’infermiera. Solo a questo punto si vede nelle telecamere che tre operatori sanitari entrano in bagno, prendono Beppe e lo adagiano su una sedia a rotelle che lasciano in un angolo della sala d’attesa.

Sfinito dalla malattia e dalla stanchezza inizia a scivolare su quella sedia. Pian piano si accascia fino all’ultimo movimento alle 8.19. “È devastante vedere quando lui abbassa la testa che è morto”, racconta il nipote. “È disumano”. Solo alle 9 Beppe diventa un’emergenza. Una signora segnala la sua presenza e finalmente intervengono i medici. Per Beppe non c’è più nulla da fare. Dopo 23 ore di attesa lo trascinano sulla sedia a rotelle dentro il pronto soccorso.

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