Omicidio di Bruna Bovino del 2013, sentenza ribaltata: 26 anni per l'ex | VIDEO
Per i giudici è stato Antonio Colamonico a uccidere la fidanzata Bruna Bovino. Il corpo della ragazza di 29 anni, uccisa con venti colpi di forbici e strangolata, venne ritrovato bruciato nel suo centro estetico a Mola di Bari il 12 dicembre 2013. L’uomo era stato assolto nel primo processo di Appello, dopo la condanna in primo grado. La Cassazione ha annullato poi l’assoluzione: ora, dopo 8 anni, arriva la sentenza dell’Appello bis per questo brutale femminicidio che vi abbiamo raccontato con Nina Palmieri
Dopo 8 anni e un’assoluzione, arriva la nuova sentenza. Per i giudici dell'Appello bis, che lo condannano a 26 anni e 6 mesi, è stato Antonio Colamonico a uccidere la fidanzata di 29 anni Bruna Bovino nel suo centro estetico a Mola di Bari il 12 dicembre 2013. Il corpo di Bruna, uccisa con venti colpi di forbici e strangolata, venne ritrovato bruciato. Le fiamme sarebbero state appiccate per cancellare le prove.
Noi de Le Iene vi abbiamo raccontato questo brutale femminicidio con Nina Palmieri nel 2019 quando Colamonico, oggi 41 anni, era stato assolto in Appello con una sentenza che aveva ribaltato quella di primo grado che nel 2015 l’aveva condannato a 25 anni. La Cassazione ha poi annullato a sua volta questa assoluzione. È partito quindi un nuovo processo che ha appena portato alla sentenza della Corte di Assise di Appello di Bari.
"Mia figlia non c'è più, non tornerà più e nessuna sentenza potrà restituirmela, ma oggi dopo 8 anni finalmente è stata fatta giustizia”, dice in lacrime dopo la sentenza la madre Lilian Baldo. “Lui era l'unico, non c’erano altri indiziati, non poteva essere stato un altro e adesso lo hanno confermato i giudici. Mi batterò fino a quando sarò viva perché mia figlia abbia giustizia, per lei e per i suoi figli”.
“Era un giorno freddissimo”, ricorda Lilian nella nostra inchiesta che vedete qui sopra e che ricostruisce l’omicidio. “Ci hanno chiamato dicendo che prendeva fuoco il centro estetico”. Inizia a chiamare Bruna ma il telefono è spento, si precipita sul posto: “Quando siamo arrivati dicevano che c’era un corpo bruciato”.
Poco prima sembra fosse arrivato Colamonico. “Gli raccontano che il corpo che era stato trovato senza vita era quello di Bruna”, ci dice Antonio Procacci, giornalista che si è occupato del caso. “Lui si dispera, inizia a sbattere pugni per terra, contro il muro. In quel momento viene notato dagli inquirenti che lo ascoltano per diverse ore”. “Sono sposato da tre anni”, dice Colamonico agli inquirenti, a cui riferisce anche di avere una relazione extraconiugale con Bruna, italo-brasiliana, donna forte e indipendente che aveva aperto il suo centro estetico a Mola di Bari.
Chi indaga analizza la scena, l’ipotesi che la morte sia stata provocata dall’incendio viene presto superata. Il movente viene inizialmente individuato in un altro centro estetico dove aveva lavorato Bruna. “Era stato chiuso per un sospetto di un giro di prostituzione”, ci spiega Procacci. Insomma, Bruna poteva essere vittima di una ritorsione.
La pista però non porta a nulla e prende piede l’ipotesi di un delitto passionale. Gli esiti dell’autopsia sul corpo di Bruna sembrano andare in questa direzione. “Sotto le unghie della vittima c’era il dna di Colamonico”, prosegue il giornalista. Nella stessa direzione vanno i risultati della perizia sulle mani dell’uomo, che erano piene di graffi: “Nel bagno del centro viene trovata una traccia biologica mista di Colamonico e di Bruna”.
Atre impronte vengono trovate sempre sulle mani di Colamonico. “Sono delle bruciature”, sostiene il giornalista Procacci. Secondo gli inquirenti si tratterebbe di un omicidio passionale non premeditato. Tutto sarebbe avvenuto intorno alle ore 17 e secondo le prime ricostruzioni sembra che in quell’orario nel centro ci fosse Colamonico, che invece dichiara di essere uscito alle 16.45.
“Vidi una discussione un po’ animata”, ci racconta un testimone: la discussione animata tra due sagome sarebbe avvenuta proprio attorno alle 16.45. Un vicino racconta inoltre di aver sentito odore di bruciato e di essere andato al centro di Bruna. Così chiama i vigili del fuoco: sono le 18.25. Quando alle 18.46 arrivano i vigili, l’incendio è già alla fase finale.
Colamonico viene arrestato e inizia il processo. Resta in carcere per 4 anni fino alla sentenza di primo grado che lo condanna a 25 anni di carcere. La Corte d’Appello ribalta la sentenza e lo assolve per non aver commesso il fatto: Colamonico è di nuovo un uomo libero.
Questo capovolgimento sembra basarsi su una testimonianza giudicata inattendibile in primo grado per un errore tecnico. È quella di Luca Caragiulo, un tatuatore che ha lo studio nella strada di fronte a quello di Bruna. “L’ho incontrata ieri sera alle 18.20 e ci siamo salutati”, racconta in un’intervista Caragiulo.Ma se Bruna era viva alle 18.20, è possibile che non si sia accorta che il centro bruciava, cosa di cui i vicini dicono di essersi accorti attorno alle 18?
Nina Palmieri ha cercato di parlare proprio con il tatuatore. “La prossima volta: omertà, mi faccio i cazzi miei”, dice. Questa testimonianza ribalta anche altri elementi. Secondo una consulenza di parte presa in considerazione in secondo grado, infatti, le ferite sulle mani di Colamonico vengono considerate banali ulcere e eritemi.
Abbiamo sottoposto le foto delle ferite a ben sette medici legali, che ci hanno risposto all’unanimità che si tratta di ulcere da azione da calore, cioè di ustioni. I segni sull’avambraccio invece in secondo grado vengono valutati come escoriazioni. Le abbiamo fatte vedere sempre a sette medici legali, che le hanno considerate escoriazioni provocate da unghiate.
“Io sono innocente, lo sono sempre stato. Di conseguenza non ho paura di nulla”, aveva detto Colamonico a Nina Palmieri dopo l’assoluzione in secondo grado. Dopo l’annullamento di quell’assoluzione da parte della Cassazione, 8 anni dopo l’omicidio, si è arrivati oggi alla sua condanna.