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Vannini, i giudici della Cassazione: “Condotta di Ciontoli spietata” | VIDEO

“Ciontoli era ben consapevole di aver colpito Marco Vannini con un’arma da fuoco”. Lo scrivono i giudici della Cassazione che hanno condannato Antonio Ciontoli e la sua famiglia per l’omicidio di Marco Vannini. Una vicenda giudiziaria e umana che vi abbiamo raccontato con Giulio Golia e Francesca Di Stefano 

"La condotta di Antonio Ciontoli fu anti doverosa, ma anche caratterizzata da pervicacia e spietatezza” per questo “appare del tutto irragionevole prospettare, come fa la difesa, che avesse sperato che Marco Vannini non sarebbe morto". Lo scrivono nero su bianco i giudici della Cassazione nelle 62 pagine delle motivazioni della sentenza di condanna della famiglia Ciontoli. Lo scorso 3 maggio ha messo la parola fine a una vicenda giudiziaria e umana iniziata 5 anni prima con la morte del ragazzo ad appena 20 anni. 

“Ciontoli era ben consapevole di aver colpito Marco Vannini con un’arma da fuoco e della distanza minima dalla quale il colpo era stato esploso”, scrivono i giudici. Per la morte di Marco tutta la famiglia di Antonio Ciontoli è stata condannata in via definitiva con la conferma delle pene dell’Appello bis: il capofamiglia sta scontando 14 anni per omicidio volontario con dolo eventuale mentre sua moglie e i figli Federico e Martina 9 anni e 4 mesi per concorso anomalo in omicidio volontario. Con Giulio Golia e Francesca Di Stefano abbiamo seguito anche quella giornata come potete vedere nel servizio qui sopra.

"Tutti ebbero immediata cognizione di tale circostanza e tuttavia nessuno si attivò per allertare tempestivamente i soccorsi, fornendo le informazioni necessarie a garantire cure adeguate al ragazzo ospitato nella loro abitazione e che, sino a quella sera, avevano trattato come uno di famiglia", scrivono i giudici. Per loro tutta la famiglia Ciontoli la sera tra il 17 e il 18 maggio 2015 era consapevole “della presenza del proiettile ancora nel corpo di Vannini”. Quello che è successo dopo lo abbiamo sentito dalle intercettazioni telefoniche di quei 100 lunghissimi minuti in cui la famiglia non ha attivato i soccorsi. 

Secondo la Suprema corte, Ciontoli "ha interrotto bruscamente la prima telefonata al 118 effettuata dal figlio Federico e dalla moglie affermando 'non serve niente'; giunto al Pit di Ladispoli, ha preteso di conferire con il medico di turno, spiegando che l'incidente doveva essere mantenuto il possibile riservato, in ragione del suo impiego alla Presidenza del Consiglio". Per questo i giudici scrivono che "lo stato di soggezione nel quale versavano i familiari si desume da molteplici circostanze: tutti gli imputati, dopo aver compreso l'accaduto, omisero di attivarsi per aiutare effettivamente Marco". 


 

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