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Bombe italiane in Yemen, no all'archiviazione: indagati due dirigenti dell'Uama. “Una vittoria per la causa del disarmo” | VIDEO

Il Gip del tribunale di Roma ha disposto un supplemento di indagine per chiarire le eventuali responsabilità per le bombe italiane nello Yemen. “Per la prima volta i nomi delle vittime sono stati pronunciati in un’aula di tribunale” commenta a Iene.it Francesco Vignarca, di Rete italiana Pace e disarmo. Adesso due dirigenti dell’Uama sono indagati. Un caso, quello dell’export italiano di bombe verso la coalizione saudita, che noi de Le Iene seguiamo da molto tempo

“E’ una vittoria per la causa del disarmo”. A parlare a Iene.it è Francesco Vignarca, di Rete italiana Pace e disarmo, dopo che il Gip del tribunale di Roma ha disposto un supplemento d’indagine sul caso delle bombe italiane usate nel conflitto in Yemen. “Per la prima volta i nomi e le ragioni delle vittime sono state pronunciate in un’aula di tribunale. Tutto il nostro lavoro nasce per questo, per proteggere le persone”. Adesso sono indagati due dirigenti dell’Uama, l’autorità nazionale che ha autorizzato l’export delle bombe.

Il caso al centro dell’indagine riguarda il bombardamento effettuato dalla coalizione guidata dall’Arabia Saudita a Deir al-Hajari, nel nord-ovest dello Yemen, avvenuto tra il 7 e l’8 ottobre del 2016. Nell’attacco venne colpita un’abitazione civile, e un’intera famiglia venne sterminata. “L’indagine è partita da una nostra denuncia”, ricorda Vignarca. “Grazie alla collaborazione con ong yemenita Mwatana abbiamo recuperato dei resti di bombe made in Italy. Una bomba ha distrutto una casa ed è morta una famiglia”.

La decisione di proseguire le indagini sulle presunte responsabilità per le bombe italiane nello Yemen è stata presa dal Gip del tribunale di Roma, che ha respinto la richiesta d’archiviazione presentata dal pubblico ministero e disponendo un supplemento d’indagine di sei mesi. Secondo fonti di stampa, saranno così indagati i vertici dell’azienda Rwm Italia, la produttrice degli ordigni collegata con la tedesca Rheinmetall e che ha venduto le bombe all’Arabia Saudita, mentre sarebbero già indagati due dirigenti dell’Uama, l’agenzia del ministero degli Esteri che ha autorizzato l’esportazione degli armamenti.

Durissime le parola usate dal Gip nell’ordinanza: “Il pur doveroso, imprescindibile impegno dello Stato per salvaguardare i livelli occupazionali non può, nemmeno in astratto, giustificare una consapevole, deliberata violazione di norme che vietino l’esportazione di armi verso Paesi responsabili di gravi crimini di guerra e contro popolazioni civili”.

“Noi siamo molto contenti di questa decisione”, ha aggiunto Francesco Vignarca. “La giudice non solo si è opposta alla richiesta di archiviazione, ma ha spiegato per filo e per segno il perché. Ha dato anche delle indicazioni precise su come proseguire le indagini”.

Noi de Le Iene seguiamo da tempo il caso delle responsabilità italiane per le bombe nel conflitto in Yemen. Vi abbiamo raccontato in particolare della vita dell’ospedale a Mocha, una struttura completamente distrutta dallo sgancio di bombe, che era l’unica a servire la popolazione civile dell’intera regione. Vi abbiamo anche fatto visitare un altro ospedale, a due ore dal fronte, gestito da medici e volontari di Medici Senza Frontiere e abbiamo chiesto di unirvi alla raccolta fondi di MSF che negli anni di guerra ha curato oltre 91.000 feriti, in  12 ospedali, fornendo supporto ad altre 20 strutture locali. 

Per raccontarvi del particolare “ruolo italiano” in questa guerra, eravamo partiti proprio dalla tragica vicenda dell’8 ottobre 2016, quando una famiglia di sei persone era stata uccisa in un attacco aereo dalla coalizione militare guidata da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti a Deir Al-Hajari, nello Yemen nord-occidentale. Il fatto che sta alla base della denuncia presentata dal Centro europeo per i diritti umani e costituzionali, dalla ong yemenita Mwatana for Human Rights e dalla Rete italiana Pace e Disarmo.

Tra le persone uccise nel bombardamento c’erano una donna incinta e i suoi quattro figli piccoli. Nel luogo dell'attacco sono stati rinvenuti resti di bombe, tra cui un gancio di sospensione prodotto da RWM Italia S.p.A., una controllata del produttore tedesco di armi Rheinmetall AG, che ha sede a Domusnovas, in Sardegna. 

Per la procura il gancio di sospensione prodotto da RWM Italia e trovato sulla scena dell'attacco di Deir Al-Hajari potrebbe essere stato esportato nel novembre 2015, epoca in cui organismi delle Nazioni unite, ONG internazionali e organizzazioni yemenite avevano già documentato le ripetute violazioni commesse dalla coalizione guidata da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. 

A luglio del 2019 il governo italiano aveva sospeso la vendita di bombe d’aereo e missili alla coalizione a guida saudita impegnata in Yemen: una decisione che però non cancellava le vendite già accordate in passato. Nel settembre del 2019 la Rwm di Domusnovas in Sardegna, dopo la sospensione delle licenze di esportazione di armi verso Arabia Saudita ed Emirati, aveva annunciato il taglio dei posti di lavoro, a causa del calo della produzione. 

A gennaio di quest’anno, infine, il governo italiano ha deciso di bloccare l’esportazione di bombe e missili alla coalizione anche già autorizzate in precedenza. Una decisione contro la quale la Rwm Italia Spa ha annunciato ricorso, parlando di provvedimento ad aziendam: in ogni caso i missili e le bombe d’aereo prodotte in Sardegna non partiranno più per rifornire i bombardieri della coalizione a guida saudita. Oggi, con l’indagine della procura che prosegue, i riflettori restano accessi sulle responsabilità dell’Italia nel sanguinoso conflitto in Yemen.

Noi continueremo a monitorare la situazione”, chiude Francesco Vignarca. “Seguiremo il caso legale e in parallelo la situazione politica, la revoca è importante ma riguarda solo alcuni tipi di armi e licenze. Rimaniamo ben focalizzati su questo e agiamo in parallelo. Se ci sarà ricorso dell’azienda contro la revoca delle autorizzazioni, faremo un intervento anche su quello”. E noi de Le Iene continueremo a seguire questa vicenda.

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