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"Siamo innocenti, non c'è niente contro di noi", proclama con rabbia l'ex calciatore di Juventus, Udinese e Nazionale campione del mondo nell'intervista esclusiva di Giulio Golia, dopo la sua condanna a 2 anni e a 19 del padre

Un campione del mondo legato alla ’Ndrangheta? L’idea fa paura anche Vincenzo Iaquinta, ex giocatore di Juventus, Udinese e Nazionale calcio campione del mondo del 2006, condannato in primo grado a due anni (19 anni è la pena invece per il padre Giuseppe, imprenditore edile) il 31 ottobre scorso a Reggio Emilia nel processo Aemilia, il più grande sulla mafia calabrese al Nord.

Quella che vedete è la prima intervista rilasciata dal calciatore dopo la sentenza. Parlando con Giulio Golia, Iaquinta si proclama con rabbia innocente, sostenendo che lui e suo padre sono stati condannati perché calabresi di Cutro (Crotone), il paese da cui viene il boss principale al centro del processo Aemilia, Nicolino Grande Aracri.

L’accusa per lui è di detenzione abusiva di armi, il padre avrebbe avuto frequentazioni sospette: “Mio padre magari li conosceva ma non ha fatto niente, a Cutro da dove veniamo ci conosciamo tutti”. Agli atti ci sono anche parentele e foto anche con i boss, non accuse di altri reati specifici: “Al massimo li abbiamo incontrati e stretto la mano solo per la paura che ti mettevano questi personaggi”.

Anche alcuni pentiti accusano il padre Giuseppe. Altra accusa: la ’Ndrangheta avrebbe facilitato la sua carriera. Vincenzo nega di nuovo con rabbia: “Ma stiamo scherzando, tutte fesserie! È la cosa più schifosa che hanno detto i pentiti: io ho fatto 90 gol in serie A e 40 presenze in Nazionale”.

“Può essere che questo processo, se assolvevano mio padre, poteva cadere perché non c’era più un’immagine per i media. Perché lo stiamo tenendo su noi questo processo: Iaquinta..., Iaquinta..., su tutti i giornali. Ci sono state 119 condanne, hanno parlato solo di Iaquinta Giuseppe e Vincenzo Iaquinta. A essere famosi ci sono i pro e i contro. I giornali mettono solo: due anni a Iaquinta per ’Ndrangheta, maledizione!”.

“E’ la cosa più brutta che ti può capitare.”, continua. “Un giorno mi sono fermato al McDonald’s. Una signora che era alla cassa mi ha riconosciuto: ‘Ah, c’è Iaquinta’. E di là quello che lavava i piatti ha detto: ‘Ah, quel mafioso!’. E io c’avevo i bambini in macchina”.

La sera stessa della sentenza il padre è stato di nuovo arrestato come misura cautelare. “Perché è di nuovo in carcere? Non c’è niente contro di lui”, dice Vincenzo commuovendosi. “Lotterò fino alla morte per l’innocenza di mio padre. La verità verrà fuori: ho fiducia nella giustizia”.

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