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Nella tendopoli di Rosarno, davanti alla casa mai nata di Soumayla | VIDEO

Con Gaetano Pecoraro siamo andati a vedere le condizioni in cui vivono tremila braccianti africani. Fino alla baracca che si stava costruendo Soumayla Sacko, il sindacalista dei migranti ucciso sabato (per l'omicidio è stato appena arrestato un uomo, che nega tutto)

È questa la tendopoli dove vivono, in codizioni terribili, tremila braccianti africani a San Ferdinando, vicino Rosarno (Reggio Calabria). È questa la baracca dove voleva vivere Soumayla Sacko, il sindacalista dei migranti ucciso il 2 giugno. È di questo che stiamo parlando da giorni. Noi de Le Iene siamo andati sul posto con Gaetano Pecoraro e ve lo mostriamo con il video qui sopra prima del servizio che andrà in onda in autunno alla ripresa della trasmissione tv.

Originario del Mali, 29 anni, in Italia con regolare permesso di soggiorno, attivista dell’Unione sindacale di base, Sacko difendeva  i braccianti che lavorano nella Piana di Gioia Tauro (già nel 2016 noi de Le Iene abbiamo documentato la situazione in cui vive questa comunità). La sera di sabato scorso stava prendendo assieme a tre amici, da una vecchia fornace abbandonata, alcune lamiere e del rame da utilizzare probabilmente nella tendopoli. Un uomo ha sparato ai tre, colpendo Soumayla alla testa uccidendolo.

Ieri, 7 giugno, è stato arrestato, con l’accusa di averlo ucciso, Antonio Pontoriero, 42 anni, che però oggi, nell’interrogatorio di garanzia nega tutto. "Al giudice ha detto di non avere nulla contro gli 'extracomunitari', anzi spesso li chiamava a lavorare nelle sue proprietà", riferisce il suo avvocato. “Sabato era nei pressi della fornace per parlare con i braccianti senegalesi che abitano nella casupola che c'è sopra l'ex fabbrica". Proprio da lì, secondo gli investigatori, Pontoriero avrebbe sparato contro chi aveva "osato" accedere all'ex fabbrica senza il suo permesso.

La sua versione degli eventi sembra tra l’altro già contraddetta da numerosi elementi. Pontoriero, nipote di uno dei proprietari dell'area dell'ex fornace che era stata poi sequestrata, si sarebbe sempre sentito ancora il proprietario della zona e si sarebbe scontrato spesso con i migranti che considerava degli "intrusi". Il movente dell'omicidio sarebbe proprio quello della vendetta per queste "intrusioni".

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