Alabama, la castrazione chimica è legge. “Ma chiamarla così è già uno slogan politico”
Mentre in Alabama la governatrice Kay Ivey firma la legge che prevede il trattamento farmacologico per chi compie reati sessuali contro i minori di 13 anni, in Italia il vicepremier Matteo Salvini ha cavalcato quest’onda. Abbiamo chiesto a Paolo Giulini, criminologo clinico da anni impegnato nel trattamento di reati sessuali in carcere e sul territorio di Milano, come stanno davvero le cose quando si parla di “castrazione chimica”
In Alabama la cosiddetta “castrazione chimica” per i reati sessuali contro i minori di 13 anni è legge. La governatrice, Kay Ivey, ha firmato il provvedimento che prevede per i condannati di cominciare il trattamento farmacologico un mese prima della scarcerazione, a proprie spese. Trattamento che sarà obbligatorio finché la Corte non lo riterrà più necessario. “La legge è un passo verso la protezione dei bambini in Alabama”, ha commentato la governatrice.
“Iniziamo col dire che usare il concetto di ‘castrazione chimica’ è già di per sé una fake news che non spiega ai cittadini in cosa consistono questi interventi, che sono terapie farmacologiche”, commenta Paolo Giulini, criminologo clinico e responsabile dell’Unità di trattamento per reati sessuali del carcere di Bollate (Milano). “La ricerca internazionale sul tema non dice che il trattamento farmacologico sia il modo migliore per evitare la recidiva nei reati sessuali. È un problema così complesso che non nasce semplicemente da un aspetto ormonale”.
In Italia a cavalcare l’onda della “castrazione chimica” è il vicepremier Matteo Salvini, che un mese fa in una diretta Facebook ha affermato: “Ci vuole la castrazione chimica per stupratori e pedofili; con una pillola, non con le forbici. E hai finito di mettere le mani addosso a donne e bambini per il resto dei tuoi giorni. Questo accade in un paese normale e civile".
Ma, spiega Giulini, anche solo parlare di “castrazione chimica” è parlare per slogan, evocando immagini che nulla hanno a che vedere con il trattamento. “Ho la sensazione che a parlare così ci sia una sorta di godimento, come se rappresentasse un supplemento della pena per chi ha commesso il reato. Io non sono contrario al trattamento medico, purché sia accompagnato da un approccio integrato, psicologico e criminologico. Possiamo in alcuni casi intraprendere oltre a questo anche quello farmacologico, ma allora basta chiamarlo ‘castrazione chimica’. La terapia farmacologica non è riducibile a una ‘castrazione chimica’, riguarda piuttosto aspetti fisiologici che possono aiutare, in alcuni casi, a gestire il rischio di recidiva”.
Solo una questione terminologica quindi? Assolutamente no, spiega il criminologo. “La terapia farmacologica può avere una sua efficacia, sempre in combinazione con un approccio multidisciplinare integrato, solo quando l’autore del reato sessuale presenti anche aspetti compulsivo-ossessivi. Ma si tratta della minoranza dei casi. Nella stragrande maggioranza invece i reati sessuali derivano da problemi relazionali e personali di carattere patologico, per cui la terapia farmacologica non ha alcuna evidenza di contrastare efficacemente la recidiva. C’è solo un 10% di casi tra i 650 su cui stiamo lavorando negli ultimi 15 anni, tra carcere e territorio (con il presidio criminologico del comune di Milano), a cui proporrei anche un percorso farmacologico all’interno del programma trattamentale integrato. Sono persone che hanno aspetti sessuali compulsivi o che hanno gravi problemi di sadismo sessuale. Il lavoro integrato multidisciplinare cerca di aumentare la consapevolezza di queste persone, che non devono essere deresponsabilizzate dalla loro condotta sessuale deviante mettendo tutto sul piano fisiologico. Il 90% dei reati sessuali sono commessi in famiglia o all’interno di relazioni di prossimità. Lì non si tratta di un ormone che parte. E comunque anche in casi in cui c’è l’ormone che parte, bisogna capire quale sia realmente l’efficacia di questi trattamenti. La capacità offensiva nella sessualità di un uomo non deriva solo da componenti ormonali. Sono scettico se si pensa che quella sia la risposta che vale per tutti. La violenza sessuale molti miei utenti l’hanno fatta non perché avessero un’erezione. Anzi molti di quelli che hanno condotte sessuali devianti hanno problemi di impotenza”.
Giulini sottolinea che lui li chiama “utenti”, e non “pazienti”, proprio perché un altro rischio della legge firmata in Alabama è di “deresponsabilizzare non solo il singolo, ma anche lo Stato, che deve continuare a seguire queste persone e non può pensare di risolvere il problema con una ‘punturina’ come se fossero semplicemente malati. Credo che quella legge sia figlia di una spinta ideologica, non di una riflessione scientifica. Noi in Italia abbiamo un’altra visione per fortuna”.
Eppure anche in Italia, in virtù di un sondaggio Swg che ha mostrato come l'elettorato leghista sia il più favorevole alla proposta della terapia farmacologica per gli autori di reati sessuali, Salvini ha cavalcato l’onda. “Dispiace che nell’agenda politica questo tema entri come uno slogan. I nostri politici si avventurano in maniera ambiziosa in questioni complesse, ma non stanno attenti a proporre cose che abbiano una valenza scientifica. Sono più interessati a sollecitare reazioni emotive che risposte di efficacia della pena e del trattamento. Per la nostra esperienza la maggior parte di autori di reati sessuali sono persone che non hanno bisogno di questo”.
“Da quando mi sottopongo a questa terapia sto meglio” ha detto Chris, che da 10 anni si sottopone alla terapia farmacologica in Svizzera, nell’intervista di Alice Martinelli che potete vedere qui sopra. “Ora sono libero dal carcere e di testa, il pensiero dei bambini non mi assilla più. Ho abusato sessualmente di adolescenti tra i 12 e i 15 anni”, ci ha raccontato. Ma ci spiega che comunque la terapia farmacologica non basta: “È necessario essere seguiti anche da uno psichiatra, altrimenti è pericoloso”.
“È stata una sua scelta”, commenta Giulini. “Dobbiamo sottolineare che non si tratta assolutamente di un intervento massificato in Svizzera”. Una situazione completamente diversa quindi da cosa sta succedendo in Alabama. “Non avrei nessun problema a sperimentare la terapia farmacologica per le persone per cui potrebbe essere utile, che ripeto sono la minoranza, ma sempre all’interno di un trattamento integrato e queste persone devono essere motivate a intraprenderla e devono sentirsi inserite in un percorso che non è la semplice puntura”.