> External link Facebook Facebook Messenger Full Screen Google+ Instagram LinkedIn News mostra di più Twitter WhatsApp Close
News |

Chico Forti, la telefonata alla moglie e quei granelli di sabbia | VIDEO

Attenzione!
La visione di questo video è vietata ai minori. Accedi per verificare i tuoi dati.Ci dispiace, la tua età non ti permette di accedere alla visione di questo contenuto.

Chico Forti sta scontando l’ergastolo da 20 anni negli Stati Uniti per l’omicidio di Dale Pike. Lui si è sempre dichiarato innocente e i dubbi sulla sua condanna sono in effetti molti. Nella quarta puntata della nostra inchiesta Gaston Zama ci racconta di una telefonata fatta alla moglie, dei granelli di sabbia trovati mesi dopo nella sua auto e di una clamorosa rivelazione finale

Chico Forti è stato condannato all’ergastolo negli Stati Uniti per l’omicidio di Dale Pike, avvenuto il 15 febbraio del 1998 a Miami. Il nostro connazionale si è sempre dichiarato innocente e vittima di un errore giudiziario, ma da venti anni sta scontando il carcere a vita in un penitenziario di massima sicurezza americano. Sono molte però le cose che sembrano non tornare in questa vicenda. Tanto che è stata appena annunciata l’intenzione del governo italiano di chiedere la grazia per Chico.

Nella prima puntata dell’inchiesta di Gaston Zama vi abbiamo raccontato la storia di Chico Forti, dalla vittoria di 80 milioni di lire al quiz italiano “Telemike” fino al trasferimento a Miami e al successo come videomaker. Chico trova una nuova compagna, si risposa e ha tre figli. Proprio quando sembra diventare una favola, la sua vita viene sconvolta all’improvviso. Il 15 febbraio 1998 su una spiaggia di Miami viene trovato morto Dale Pike, ucciso con due colpi di pistola: per quell’omicidio Chico è stato condannato all’ergastolo.

Nella seconda puntata vi abbiamo invece dato conto di tutto quello che sembra non tornare nelle indagini e nel processo che hanno portato alla condanna a vita per Chico Forti. In particolare la scena del crimine sembra essere stata manipolata affinché Chico potesse risultare colpevole dell’omicidio di Dale Pike. E infine una giurata di quel processo ci ha mandato un messaggio sostenendo che l’intero procedimento “è stata una cazzata”.

Nella terza puntata vi abbiamo raccontato come il presunto movente dell’omicidio, una truffa ai danni di Tony Pike, sembra non reggere di fronte ad alcune evidenze che non sarebbero state considerate durante il processo. Vi abbiamo dato conto anche di un’altra persona, Thomas Knott, che sembra potesse avere un possibile movente e non sarebbe stato considerato durante il processo.

In questo quarto episodio vi parliamo di un nuovo dettaglio cruciale in questa storia: una telefonata che alle 19.16 del giorno dell’omicidio Chico Forti fa alla moglie. Una chiamata che viene localizzata e si scopre essere avvenuta nelle vicinanze del luogo di ritrovamento del cadavere di Dale Pike. Chico era andato a prendere proprio Dale Pike all’aeroporto a Miami e intorno alle 18.30 avevano lasciato lo scalo. Dopodiché, sempre secondo la versione del nostro connazionale, l’uomo gli avrebbe chiesto di fermarsi a una gas station per comprare delle sigarette e lì avrebbe fatto una chiamata dalla cabina telefonica. Una volta risalito in auto avrebbe chiesto a Chico di accompagnarlo al ristorante Rusty Pelican dove sarebbe salito in macchina su una Lexus bianca con un uomo.

Chico doveva andare a prendere il suocero all’altro aeroporto di Miami ed era in ritardo, ma decide comunque di portare Dale al ristornate perché così non avrebbe dovuto ospitarlo a casa sua: né lui né la moglie erano infatti favorevolmente impressionati da quell’uomo. Chico così lo lascia nel parcheggio davanti al Rusty Pelican. “Quando l’ho lasciato, non è che l’ho lasciato sotto un ponte”, dice Chico a Gaston Zama. “L’ho lasciato in una macchina che costava più o meno 70mila dollari, con una persona che sembrava più un attore del cinema che una persona normale. Non c’erano elementi visivi per darmi qualsiasi tipo di dubbio o di ‘chi va là’”.

A quel punto, secondo la ricostruzione di Chico Forti, sono circa le 19.15. Sarebbero quindi passati circa 45 minuti dal momento in cui lui e Dale Pike hanno lasciato l’aeroporto. “Subito dopo averlo lasciato, ho chiamato mia moglie Heather”, continua Chico. Sono le 19.16, e qui si apre un ulteriore enigma: in quella telefonata il nostro connazionale avrebbe mentito alla moglie. “Mi ricordo che non le ho detto di aver prelevato Dale Pike. Non so esattamente il perché, forse la cosa è che non volevo discutere. Non mi sembrava una cosa importante, una cosa da analizzare”. Ma qual è la giustificazione a questa bugia? “Una spiegazione logica, col senno di poi, probabilmente avrei gli stessi punti di domanda che hai tu o che potrebbe avere una persona da casa. A seguito della prima chiamata dove le ho detto che non era con me probabilmente è diventata una cosa che non ho pensato fosse di importanza”.

Chico però nemmeno quando ritorna a casa dice alla moglie di aver visto Dale Pike all’aeroporto. Anche al processo Heather confermerà che il marito non le aveva detto di aver dato quel passaggio alla vittima. “Fossi al tuo posto avrei anche io i tuoi stessi punti di domanda”, dice Chico al nostro Gaston Zama.

Oltre che per la bugia detta alla moglie, quella telefonata è decisiva per un altro motivo: il telefono di Chico aggancia una cella nelle vicinanze della spiaggia dove sarà trovato il giorno seguente il cadavere di Dale Pike. “A meno di un chilometro di distanza”, ci dice. Quel tabulato sarà usato come prova della vicinanza di Chico alla vittima in quel momento. “Una prova un po’ assurda”, sostiene Chico. “Non è una cosa che era sconosciuta, è stata una mia ammissione. Ho detto di averlo lasciato al Rusty Pelican e che subito dopo ho fatto la chiamata”.

La telefonata è cruciale anche per un’altra ragione. Il medico legale che fece l’autopsia a Dale Pike sostenne che l’uomo era stato ucciso quella sera in un orario compreso tra le 18 e le 19.16. Un orario che corrispondeva al momento esatto dell’orario della chiamata di Chico alla moglie. “È quello che noi chiamiamo una falsa pista, una distrazione”, ci dice l’avvocato di Chico Forti, Joe Tacopina. “Qualcosa che è irrilevante ma è stata usata per danneggiare Chico”. Quell’affidavit del medico legale indica il nostro connazionale come il naturale assassino di Dale Pike, posizionando l’orario presunto della morte nella fascia di tempo in cui i due sono stati insieme.

“Se parli con i migliori medici al mondo che fanno autopsie ti diranno che c’è un intervallo di 3 o 4 ore in cui quest’omicidio potrebbe essere accaduto”, sostiene l’ex detective Sean Crowley. “È impossibile per il medico che ha fatto l’esame stabilire l’ora della morte a un minuto particolare”, aggiunge Joe Tacopina. “Di nuovo, hanno costruito il caso intorno a Chico Forti”, sostiene Crowley, “quindi è stato dato questo referto medico che riporta l’ora esatta della morte. Non ho mai visto una cosa così”.

“Un’incredibile coincidenza, no?”, si chiede ironicamente Chico. “Non credo sia una coincidenza”, ribatte Crowley. “Penso che gli inquirenti, la polizia e il referto medico abbiano costruito il caso intorno a Chico Forti e non seguendo le prove”. “Se io avessi firmato una perizia del genere, quella sarebbe stata la perizia di cui mi sarei vergognato”, ci dice il primario di medicina legale a Taranto. “Calcolare il minuto va al di là della mia capacità di comprensione.”.

A quel range di orario si arriva anche con l’analisi del contenuto gastrico. Secondo la ricostruzione degli inquirenti Dale Pike avrebbe mangiato delle arance a bordo del volo che lo portava a Miami e quello sarebbe stato il suo ultimo pasto. “Se trovo qualcosa nello stomaco devo avere anche il buonsenso di andare a vedere cosa c’è nel duodeno (la prima parte dell’intestino)”, dice il primario. L’autopsia però non indica cibo nel duodeno, ma solo nello stomaco. Questo significa che Dale Pike aveva mangiato da massimo due ore. Il medico che firmò l’autopsia però scrisse che quelle arance potevano esser state mangiate anche quattro ore prima, cioè quando Dale era sull’aereo. Lo stesso medico comunque disse di non sapere quando Pike avesse mangiato quelle arance.

Il primo dato per determinare da quanto tempo una persona sia morta è misurare la temperatura del cadavere al momento del ritrovamento. Questo dato però, nel caso di Dale Pike, non compare da nessuna parte. Il corpo dell’uomo inoltre sembra sia rimasto per circa 24 ore, nudo, sulla spiaggia in cui fu ritrovato. Qui c’è un’altra possibile stranezza: sembra infatti che sul cadavere non ci fosse alcun segno di contatto con gli animali che popolano quella zona, come zanzare, insetti o procioni.

E non è certo quella l’unica cosa che sembra non tornare su quella scena del crimine, come vi abbiamo riportato nelle precedenti puntate che potete rivedere qui sotto. “Mancava solo un biglietto: in caso di ritrovamento contattate Chico Forti”, sostiene il nostro connazionale. “Neanche un demente farebbe così”, sostiene l’amico Francesco Guidetti. “Queste persone non dovrebbero occuparsi di omicidi”, sostiene Crowley. “Perché qualsiasi detective si sarebbe accorto della manipolazione della scena del crimine. Un corpo nudo con tutte quelle cose intorno… e poi dalle tracce di sangue era chiaro che fosse stato trascinato lì dalla battigia”.

E quelle macchie rosse sulla spiaggia? Un altro mistero: l’accusa sostenne sempre che Chico arrivò sulla spiaggia dalla strada in macchina e dopo aver ucciso Dale Pike lo avrebbe trascinato tra i cespugli. Ma, secondo l’uomo che ritrovò il cadavere, le tracce di sangue che lo portarono a scoprire il corpo arrivavano dalla spiaggia. Anche quei segni di sangue, segnalati proprio da chi trovò il cadavere, non furono mai seguiti dagli inquirenti. “Ci sono un pochino di lacune che sono palesi”, dice Chico.

Un altro punto cruciale di questa storia è l’arma del delitto. Dale Pike fu ucciso con due colpi di pistola calibro 22, arma cercata a lungo dagli inquirenti. E qui spunta di nuovo fuori il nome di Thomas Knott, di cui vi abbiamo parlato nella scorsa puntata. Chico Forti, ignaro dei precedenti criminali del tedesco, diventa amico di quest’uomo. “Stavo andando ad acquistare una tavola da surf in un grande negozio di articoli sportivi”, racconta Chico. “Thomas Knott mi ha chiesto se poteva venire con me e ho immaginato che fosse per comprare delle cose anche lui. Questo negozio non è un negozietto, è un grande magazzino. Saranno 50 metri di distanza da un lato all’altro, quindi un campo di pallacanestro. Io sono andato nella mia area e Knott è andato nella parte sportiva”. Una sezione dedicata alla caccia e alla pesca dove vendevano anche pistole. Secondo quanto racconta Chico, il tedesco decide di comprare una calibro 22.

Sembra che Knott avesse già comprato una macchina lancia piattelli: “Una macchina per il tiro al piattello e un fucile per il tiro al piattello. Non è che è andato e ha acquistato una pistola col silenziatore”. Al momento di pagare però sembra che la carta di credito del tedesco non funzionasse. “In quel momento Knott mi chiede se potevo farmene carico”, racconta Chico. “Non era la prima volta che pagavo per qualcuno, nessuno nell’isola (dove vivevano come vicini di casa, ndr), era a conoscenza che lui fosse un criminale”. Il commesso dichiarò poi che in effetti fu Chico a pagare l’arma, che però era intestata a Thomas Knott. Il commesso insomma conferma agli inquirenti la versione del nostro connazionale.

Interrogato dalla polizia Thomas Knott disse che quella pistola l’aveva data a Chico Forti mesi prima dell’omicidio di Dale Pike. “Una cosa molto conveniente per giustificare che non aveva più la pistola”, sostiene il nostro connazionale. “Se sei ricercato per omicidio cosa dici alla polizia a proposito di una potenziale arma del delitto?”, sostiene Sean Crowley. “Ovvio che dici ‘non ce l’ho più’”. Al processo infatti la polizia non attribuì mai quell’arma a Chico Forti. “Io avevo la mia pistola, una calibro 38”, ricorda Chico. “In America è una cosa normale avere una pistola da tenere a casa come protezione. Era in uno scaffale che fosse fuori dalla disponibilità dei miei figli, dove non potevano arrivare”. La polizia cercò e trovò quella calibro 38, mentre quella calibro 22 intestata a Thomas Knott non venne mai ritrovata.

Thomas Knott venne sottoposto alla macchina della verità quattro volte e fallì tutte e quattro. Chico invece venne sottoposto solo una volta, con esito positivo. Quegli esiti però non vennero mai portati a processo. “Anche io vorrei capire, ma non so chi potrebbe dare una risposta”, dice Joe Tacopina. “Non so perché, ma è una cosa che di certo scuote le coscienze”.

A processo verrà portata una prova cruciale per la condanna di Chico. “Sulla sua jeep sarebbero stati trovati dopo tre mesi di analisi, dopo tre mesi in cui l’auto era ferma, alcuni granelli di sabbia compatibili con la sabbia della spiaggia dove è stato trovato il corpo”, ricorda Francesco Guidetti. Quella prova viene usata per provare che Chico Forti la sera dell’omicidio era stato su quella spiaggia con la sua auto. È curioso però il tempo del ritrovamento: “Era molto più del novantesimo minuto, era il tempo di recupero”, ricorda Joe Tacopina facendo riferimento al tempo limite delle indagini su Chico per omicidio: “Trovano la sabbia dopo la terza volta che hanno fatto le ricerche”. Prima della scoperta di quei granelli di sabbia sembra non esistesse alcuna prova che collegava Chico al luogo del ritrovamento del cadavere.

“Un veicolo che era sotto sequestro per mantenere inalterata qualsiasi prova è stato portato in giro”, sostiene Joe Tacopina. Lo guidano fino al porto di Miami perché sembra che il montacarichi della polizia fosse rotto. Lo portano quindi da un carrozziere per esaminarlo un’altra volta, passa un mese e a quel punto eseguono quell’ultimo cruciale controllo. “E questo dopo che l’auto di Chico era stata guidata dalla polizia in giro per Miami”, ricorda Tacopina. “Gli ufficiali stavano guidando la macchina di Chico mentre era sotto custodia. Questo non è il modo corretto per cercare le prove. È improprio, è illegale, ma è stato fatto”. Infine una cosa fondamentale: non ci sono le foto di quei granelli di sabbia sul gancio dell’auto, ma solo foto dei granelli di sabbia nella provetta che verrà poi analizzata dalla scientifica.

“Tutte le evidenze che sono state utilizzate nel mio caso sono state fotografate e catalogate, l’unica evidenza che non è supportata da un report fotografico è il ritrovamento della sabbia”, sostiene Chico Forti. “Potrebbe essere giustificato se non ci fosse stata una macchina fotografica, se non ci fosse stata la possibilità di poter fare una copertura fotografica dell’evidenza. Il problema è che la macchina fotografica c’era”. Questo però è quello che dice il detective che ritrovò la sabbia: “La macchina fotografica ha avuto un malfunzionamento, non so cosa sia successo”. Insomma quel giorno sembra non funzionasse nulla, né il montacarichi della polizia né la macchina fotografica.

Secondo alcuni geologi quella sabbia proveniva sicuramente da quella spiaggia, secondo altri invece era riconducibile a molte altre spiagge di Miami: questo perché molti lidi sono creati con sabbia di riporto – cioè proveniente da altri luoghi – tra cui anche quella in cui è stato trovato il corpo di Dale Pike.

A ogni modo questa prova, la sabbia, è quella che viene portata a processo per dimostrare la presenza di Chico Forti sulla spiaggia dove è stato trovato morto il figlio di Tony Pike. Secondo la difesa di Chico però non era possibile per l’imputato raggiungere la spiaggia con la sua auto, perché questa sarebbe stata chiusa a causa di un tornado che l’aveva colpita e l’aveva ridotta in pessime condizioni. Gli accessi sarebbero stati chiusi con alcuni pali: un poliziotto della zona, Joe Cruz, però sostenne che sarebbe stato possibile l’ingresso in spiaggia con la macchina perché lui stesso la settimana prima dell’omicidio avrebbe spostato un masso che impediva l’accesso alla spiaggia. Versione però contrastante con alcune sue precedenti dichiarazioni.

Non ci sono prove su Chico Forti”, sostiene Sean Crowley. “A meno che tu non intenda che la bugia che ha detto sia l’unica cosa che la Corte possa considerare. Hanno usato quella bugia come prova pompandola in tribunale in modo eccessivo. Potremmo fare uno show di 24 ore con tutte le prove contro qualcun altro e tutto il lavoro confuso della polizia ha contribuito a costruire il caso intorno a Chico Forti che non ha commesso questo omicidio. Ed è vergognoso che lui sia in prigione da 20 anni. È un’ingiustizia”.

Se fosse davvero così la grande ingiustizia sarebbe prima di tutto nei confronti della vittima, Dale Pike. In questi venti anni a farsi domande su questa storia è stata anche la stessa famiglia a partire dal padre, Tony, come vi abbiamo ricordato nel precedente servizio.

Tony Pike ormai è morto, ma Dale aveva un fratello, Bradley. “Sono davvero sospettoso di tutto il processo”, ha detto Bradley Pike a Gaston Zama. “Le mie sensazioni dicono che Chico è stato manipolato ed è stato il capro espiatorio. Il mio desiderio è di contribuire al rilascio di Chico. Credo ci sia un errore giudiziario e mi dispiace molto per i suoi figli”.

Bradley Pike da sempre lotta per trovare la verità sulla morte del fratello e qualche mese fa ha detto di aver trovato un’email ricevuta dal padre in cui un ufficiale di polizia avrebbe scritto a Tony Pike dopo la condanna di Chico al carcere a vita: “Ero preoccupato che i giurati non lo dichiarassero colpevole perché non avevamo abbastanza prove. I pm non erano sicuri sul da farsi e noi abbiamo quasi dovuto minacciarli per far incolpare Forti. Ora però passerà il resto della sua miserabile vita in un carcere in Florida ricordandosi tutto quello che ha avuto e che ora non avrà mai più”, si leggerebbe in questa email. A scriverla sarebbe il detective John Campbell, l’uomo che trovò i granelli di sabbia nell’auto di Chico Forti. 

Ultime News

Vedi tutte