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Chico Forti, la presunta truffa a Tony Pike e il ruolo di Thomas Knott | VIDEO

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Chico Forti è stato condannato all’ergastolo negli Stati Uniti per l’omicidio di Dale Pike. Secondo l’accusa il nostro connazionale voleva truffare il padre della vittima, ma questa storia sembra non reggere. Nel terzo servizio di Gaston Zama sul caso parliamo anche di un nuovo protagonista: Thomas Knott

Chico Forti è stato condannato all’ergastolo negli Stati Uniti per l’omicidio di Dale Pike, avvenuto il 15 febbraio del 1998 a Miami. Il nostro connazionale si è sempre dichiarato innocente e vittima di un errore giudiziario, ma da venti anni sta scontando il carcere a vita in un penitenziario di massima sicurezza. Molte cose però sembrano non tornare in questa vicenda.

Nella prima puntata dell’inchiesta di Gaston Zama vi abbiamo raccontato la storia di Chico Forti, dalla vittoria di 80 milioni di lire a “Telemike” fino al trasferimento a Miami e al successo come videomaker. Chico trova una nuova compagna, si risposa e ha tre figli. Proprio quando la sua vita sembra diventare una favola, viene sconvolta all’improvviso. Il 15 febbraio 1998 su una spiaggia di Miami viene trovato morto Dale Pike, ucciso con due colpi di pistola: per quell’omicidio Chico è stato condannato all’ergastolo.

Nella seconda puntata vi abbiamo invece dato conto di tutto quello che sembra non tornare nelle indagini e nel processo che hanno portato alla condanna a vita per Chico Forti. In particolare la scena del crimine sembra essere stata manipolata affinché Chico potesse risultare colpevole dell’omicidio di Dale Pike. E infine una giurata di quel processo ci ha mandato un messaggio sostenendo che l’intero procedimento “è stata una cazzata”.

In questa terza puntata approfondiamo un altro punto di questa vicenda: qual era il possibile movente dell’omicidio? Secondo l’accusa Chico Forti voleva truffare Tony Pike, il padre della vittima, acquistando da lui il famoso “Pikes Hotel” di Ibiza a un prezzo irrisorio rispetto al valore di mercato. La struttura era un leggendario ritrovo durante gli anni ’80 di star internazionali, ma nell’ultimo periodo non navigava in buone acque. Dale Pike avrebbe scoperto la truffa ordita da Chico per sottrarre l’hotel al padre e per questo sarebbe volato a Miami per cercare di capire cosa stesse accadendo: il nostro connazionale quindi lo avrebbe ucciso per evitare che Dale facesse saltare l’accordo. “Se questa è la truffa è la truffa più idiota del mondo, perché stavo truffando me stesso”, ci dice Chico Forti.

Chico aveva conosciuto tramite un amico Tony Pike a Miami: quest’ultimo gli avrebbe proposto di acquistare l’hotel. “La cifra sulla quale ci siamo accordati era poco più di un milione di dollari”, racconta Chico. “Se ci fosse stato l’intento della truffa sarebbe stato molto meno. Ho fatto un viaggio ad Ibiza per vedere la struttura, c’era tanto lavoro da fare però…”. Tutto stava andando liscio e nulla faceva presagire qualcosa di strano.

Chico si sarebbe addirittura offerto di accompagnare Tony e Dale Pike in Marocco per acquistare il nuovo mobilio per l’hotel. I soldi per le spese furono dati “in parte in contanti o gli facevo trasferimenti bancari. In parte gli lasciavo utilizzare la mia golden card Visa per poter fare gli acquisti che doveva fare. “Quindi non c’era una situazione di attrito con i venditori”, ricorda l’amico di Chico, Francesco Guidetti. “Quando ho fatto la trattativa in Spagna, non c’era fretta da parte mia di chiudere l’accordo davanti a un notaio ma lui (Tony Pike, ndr) mi disse: ‘Andiamo a farlo adesso, perché è inutile se devi fare un altro viaggio per venire’”, ricorda Chico Forti. “Io ho accettato”, e la trattativa arriva davanti al notaio con tanto di carte e documenti.

Al processo però Tony Pike viene presentato come il truffato, vittima di un raggiro da parte di Chico Forti. Lo stesso Pike conferma questa versione davanti alla giuria. “Chico non stava truffando nessuno”, sostiene l’avvocato di Forti, Joe Tacopina. “Stava effettuando una transazione d’affari per quell’hotel che stava perdendo denaro”. “C’era un contratto firmato davanti a un notaio”, conferma l’ex detective Sean Crowler. Sembra dunque che tra le parti ci fosse pieno accordo sull’affare. A conferma di questo esiste anche un atto di preaccordo di vendita di quell’hotel, firmato da entrambe le parti. Successivamente viene firmato anche un secondo documento, davanti a un notaio di Ibiza, dove si dà il via all’effettiva cessione della struttura.

Tony Pike, inoltre, invia una email ai figli in cui scrive: “Ho venduto l’hotel”. Come mai allora Pike avrebbe prima firmato quegli atti, inviato una email e poi detto al processo di esser stato vittima di un raggiro? Secondo l’accusa del procedimento per l’omicidio di Dale, il padre Tony era affetto da demenza a causa dell’Aids, malattia di cui era da tempo affetto. Un documento del gennaio del 1997 presentato dallo stesso Pike certifica questa situazione. Tony sarebbe dunque stato affetto da demenza anche quando aveva apposto la firma sulla vendita dell’hotel, nel gennaio del 1998. Per l’accusa, Chico Forti era consapevole del suo handicap e lo avrebbe così circuito. “Penso di non aver avuto il controllo delle mie facoltà”, dice Tony Pike durante il processo.

“Questa è una balla gigantesca costruita ad arte”, dice Chico Forti. “Era tutto fuori che demente, era astuto e intelligente”. Tony Pike si presenta al processo accompagnato dalla badante, con un bastone e l’accusa lo mostra in quello stato per dimostrare la condizione di minorità in cui si sarebbe trovato.

A dimostrare che Tony Pike non sarebbe stato affetto da demenza esiste un documento del novembre del 1997, quindi precedente alla firma della vendita dell’hotel, in cui si legge che il livello di funzionamento cognitivo è notevolmente migliorato dal momento della diagnosi di demenza legata all’Aids. Il medico aggiunge che non c’è motivo per cui Tony Pike non debba assumersi la responsabilità nei suoi affari. “Ricordo una frase del procuratore dell’accusa in cui si diceva che Tony Pike una volta era uscito dal centro commerciale e non ricordava più dove aveva parcheggiato la macchina”, ci racconta Chico Forti. “Allora vuol dire che siamo tutti dementi!”.

“Questo hotel di Ibiza era un posto dove veniva anche trafficata della droga”, sostiene l’amico di Chico, Francesco Guidetti. “Negli anni ’80 e ’90 era un ritrovo anche per queste attività qui”. A confermarlo è lo stesso Tony Pike, in un documentario girato pochi mesi prima che lui morisse. Nel video Pike, che aveva ormai 83 anni, appare piuttosto attivo e lucido nei suoi ricordi. E questo sembra strano, soprattutto perché la demenza è una malattia che non può regredire.

“Questa persona era più scaltra di quanto si pensasse”, sostiene lo zio di Chico, Gianni Forti. “Stava cercando di vendere una cosa che nemmeno possedeva più”. Sì, perché ormai Tony Pike aveva solo il 5% delle quote dell’hotel. Il resto era controllato da altri membri della famiglia tramite società offshore. “L’unico a esser truffato in questo affare era Chico”, sostiene l’avvocato Joe Tacopina. “Perché Tony Pike non gli stava vendendo l’hotel ma una società”. Sembra quindi che in realtà fosse Chico Forti nella posizione del truffato.

C’è poi un ulteriore enigma: una email che Dale Pike invia alla fidanzata il 14 febbraio 1998, il giorno prima di partire per Miami. In quel messaggio non parla mai di hotel, trattative e truffe, ma anzi parla con curiosità di un evento musicale che lo stesso Chico Forti stava organizzando. Per l’accusa però Dale partiva alla volta di Miami con lo scopo di discutere l’affare della vendita. È possibile però che un uomo voglia andare al concerto di chi starebbe truffando il padre? Difficile rispondere, soprattutto perché di quella email al processo non è mai stata fatta menzione.

Un altro elemento importante è la testimonianza che Tony Pike diede a Londra sotto interrogatorio, prima che iniziasse il processo a Chico Forti. In quella deposizione l’uomo avrebbe detto di avere una ragazza di 16 anni, di cui però ignorava la minore età, con cui aveva avuto un rapporto sessuale non protetto sebbene fosse già a conoscenza di aver contratto l’Aids. Pike all’epoca aveva 60 anni. Quando gli fu chiesto se era conoscenza del fatto che poteva mettere in pericolo la vita di quella ragazza, rispose di sì. Secondo i sostenitori dell’innocenza di Chico Forti, questo dimostrerebbe come Tony Pike fosse una persona pericolosa e inaffidabile.

In quel processo però queste informazioni non potevano essere riferite alla giuria. Questo per via di una “motion in limine”, ovvero una mozione discussa tra gli avvocati delle parti e il giudice in assenza della giuria. Questo istituto giuridico serve a escludere determinate testimonianze dal processo: in questo caso fu deciso che la difesa di Chico Forti non poteva informare la giuria di quanto vi abbiamo raccontato sopra sulla vita sessuale di Tony Pike. Ma perché l’avvocato di Chico Forti accetta questa decisione?

Al di là di questo, esisteva un modo per capire durante il processo se davvero Tony Pike fosse stato truffato da Forti: sentire il notaio che aveva siglato il documento di vendita dell’hotel, Herman Leon Pena. Il suo nome infatti appare nella lista dei testimoni: avrebbe dovuto essere sentito tramite telefonata satellitare davanti alla giuria. Il notaio aveva affermato di esser stato in grado di determinare che Tony Pike avesse la facoltà legale di firmare dell’atto di vendita e che non aveva avvertito nessuna demenza da parte sua. Inoltre Pike era accompagnato dal suo commercialista di fiducia. Si sarebbe trattato dunque di una testimonianza decisiva, apparentemente in grado di smontare la tesi della truffa di Chico e quindi il movente dell’accusa di omicidio.

Peccato però che quella testimonianza non ci fu mai. “L’accusa ha rifiutato il collegamento satellitare”, dice Joe Tacopina. “Perché per loro non era rilevante per il caso. E la difesa dell’epoca, sfortunatamente, non era preparata e quindi hanno semplicemente proseguito, sono andati avanti senza considerare quel testimone validissimo”. I giurati dunque non hanno mai visto quel testimone. Da quel momento la figura del notaio sparisce dal processo, sebbene avesse fatto sapere di essere ancora disponibile a testimoniare. “È stata una distruzione sistematica delle prove che potevano scagionare Chico Forti”, afferma lo zio Gianni.

“Quella testimonianza avrebbe invalidato il processo”, dice Joe Tacopina. “E la difesa non ha fatto nulla a riguardo”. “Non era una carta semplice, era un asso di cuori” ricorda Chico Forti. Com’è possibile che l’avvocato abbia rinunciato a sentire quel testimone chiave? E perché aveva accettato il ‘motion in limine’ sulla vita sessuale di Pike? “Una delle prime cose che ho detto è stata ‘incompetenza e corruzione’”, ricorda Tacopina. “L’incompetenza è quella dei suoi avvocati”.

Al di là di tutto, c’è ancora una cosa clamorosa: prima del processo per omicidio, era stata stabilita una ‘nolle prosequi’ per l’accusa di truffa, cioè una sostanziale archiviazione perché non c’erano elementi sufficienti a provarla. Ma tra le cose che vengono escluse dal processo con il ‘motion in limine’ incredibilmente rientra anche questa informazione. Allo stesso tempo però l’accusa fonda tutta la sua strategia processuale proprio su quella presunta truffa.  In conclusione se Chico non stava truffando Tony Pike, viene meno il movente dell’omicidio? “Esattamente”, risponde Joe Tacopina. “Sembra quasi una commedia, un film di Benigni”. “Se non c’è movente, e se non c’è truffa, quale sarebbe la motivazione per cui Chico Forti avrebbe dovuto pianificare la sua eliminazione?”, si chiede lo zio Gianni.

Bisogna fare molta attenzione a cosa dice Sean Crowley, l’ex detective che ha lavorato come consulente di parte al caso di Chico Forti: “La cosa più importante che ho scoperto è il fatto che c’era un altro sospettato là fuori, che ai miei occhi di ex capitano di una squadra omicidi a New York corrispondeva a un potenziale assassino. Lui aveva il movente, aveva un obiettivo e non è stato considerato: Thomas Knott”.

Thomas Knott aveva una fedina penale non proprio immacolata: “Tedesco, lasciò la Germania perché è stato arrestato e accusato di una frode per milioni di dollari. È stato in carcere per un po’ e dopo il suo rilascio è venuto negli Stati Uniti”, ricorda Crowley. In poco tempo, secondo il racconto dell’ex detective, si stabilisce a Miami in un quartiere esclusivo, abitato da persone benestanti. In un lussuose complesso Knott vive in un appartamento proprio vicino a quello di Chico Forti.

“Lui si presentava come un ex giocatore professionista di tennis”, ricorda Chico. “Diceva di venire a insegnare tennis alle scuole di alto livello”. Non avendo alcun impiego Knott si presenta come un presunto maestro di tennis. “Era un truffatore da manuale”, sostiene Crowley. “Penso che questo fosse il suo obiettivo da quando era arrivato negli Stati Uniti, ovvero attuare queste strategie per fare soldi e lo ha fatto. È diventato amico di Forti, e lo ha presentato a Tony Pike”. È quindi questo Thomas Knott il legame tra Chico Forti e il padre di Dale.

A queste informazioni bisogna aggiungere che Thomas Knott sarà poi condannato per una truffa ai danni di Tony Pike. Attraverso alcune carte di credito intestate allo stesso Tony, Knott gli aveva rubato decine di migliaia di dollari: per questo motivo in Florida verrà condannato a 3 anni di carcere e 5 di libertà vigilata. “Lui aveva defraudato Tony Pike”, ricorda Joe Tacopina. “Quando Dale Pike l’ha scoperto è venuto in America per affrontare la situazione”. E c’era un testimone di questo, il signor Antonio Fernandez. È un manager del “Pikes Hotel” di Ibizia, quello al centro della trattativa di vendita, che avrebbe dichiarato prima del processo all’avvocato di Chico che Dale aveva litigato al telefono con Thomas Knott e il motivo era il denaro. Anche questa testimonianza sarebbe stata molto utile durante il processo, e anche questa non fu fatta. Di lui, come di tutte le cose di cui vi abbiamo parlato in precedenza, si perde ogni traccia.

“Quando si parla di giustizia corrotta questo è l’esempio perfetto”, dice Joe Tacopina. “Qui c’era un individuo che si sapeva che aveva truffato Tony Pike, il padre della vittima Dale Pike. Una persona con una storia di truffe alle spalle che ha passato del tempo in carcere”. “Thomas Knott era sicuramente un sospettato più probabile dal punto di vista investigativo”, sostiene Sean Crowley. “Dale Pike stava venendo negli Stati Uniti per confrontarsi con Thomas Knott sul fatto che avesse rubato migliaia di dollari al padre. E Knott sapeva che quello era uno dei motivi del suo arrivo. L’ultima cosa che sappiamo è che Dale Pike è stato trovato morto sulla spiaggia”.

Perché quindi per Chico Forti si era ipotizzato che la truffa fosse il movente dell’omicidio di Dale, ma per Knott no? Knott del resto sarebbe stato condannato proprio per quel reato ai danni di Tony Pike.

È difficile spiegare quello che provo”, racconta Chico. “Vivo e sopravvivo con diniego, non pensando a queste cose, non pensando alle porcate che mi hanno fatto, alle menzogne che hanno detto. Mi tengono qui dentro per una bugia, quando loro ne hanno dette una marea. Devo pensare all’oggi e al domani, se penso al passato sono un uomo finito. Questo è il mio modo per continuare ad andare avanti”.

Perché dunque Chico Forti avrebbe dovuto uccidere Dale Pike, che sembra volesse partecipare a un concerto che Chico stava organizzando? Perché il notaio che poteva dimostrare che Tony Pike era nel pieno delle sue facoltà al momento della firma di quel contratto non ha testimoniato al processo? Perché l’accusa sostenne che Tony Pike era in stato di demenza quando ci sono documenti che affermano il contrario? Perché il padre della vittima stava cercando di vendere un hotel di cui non era più l’unico proprietario? Perché al processo non si poteva dire che l’accusa di truffa a carico di Chico non era dimostrabile? Perché invece l’accusa fonda tutto il processo su quell’accusa? Perché invece il testimone che aveva sentito litigare Dale Pike e Thomas Knott è scomparso dall’elenco dei teste che dovevano sfilare in tribunale?

A farsi tutte queste domande non sono solo tutti quelli che credono all’innocenza di Chico Forti, ma anche lo stesso Tony Pike. In una intervista televisiva è lui stesso a dire di avere dei dubbi sull’effettivo ruolo di Thomas Knott in questa storia. Il tedesco però ha un alibi di ferro: era a una festa da lui stesso organizzata a casa sua. Dagli atti però emergono versioni contradditorie su chi e quante persone fossero presenti a quel party. Tutti però confermano una cosa: Thomas Knott non ha mai lasciato quell’appartamento.

Lui ha mentito su cosa ha fatto e dov’era. Ha mentito alla polizia”. La notte dell’omicidio “è andato via con qualcuno per un paio d’ore ed è tornato da solo”. A parlare è l’ex moglie di Thomas Knott.

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