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Corleone, Salvini al padre dell'agente ucciso Nino Agostino: "che barba"!

Nella sua visita a Corleone il 25 aprile il ministro dell'Interno dapprima non ha riconosciuto il padre dell'agente ucciso Nino Agostino, tanto da fare una battuta sulla sua lunga barba. Poi ha ascoltato la storia del figlio ucciso e della loro lotta alla mafia. E della sua lunga barba che non ha più tagliato in segno di protesta

Vincenzo Agostino, il papà dell’agente di Polizia Nino Agostino, ucciso nel 1989 insieme alla moglie Ida, incontra casualmente il ministro dell’Interno Matteo Salvini a Corleone (Palermo). Il vicepremier, finita l’inaugurazione del commissariato di Corleone, intravede l’uomo e senza riconoscerlo commenta la sua lunga barba: “Che bella barba bianca che ha”. 

Vincenzo Agostino spiega così al vicepremier che quella barba, come aveva raccontato alle nostre telecamere durante l’intervista di Gaetano Pecoraro del 28 febbraio 2016, non se la taglia da 30 anni in segno di protesta, nell’attesa di giustizia per suo figlio.

La sera del 5 agosto 1989 Nino Agostino, agente di polizia alla questura di Palermo, viene ucciso a colpi di pistola mentre entrava nella villa di famiglia con la moglie a Villagrazia di Carini, incinta di cinque mesi. Un mese e mezzo prima Nino aveva sventato l’attentato all’Addaura al giudice Giovanni Falcone.

Un delitto che non ha ancora avuto verità. Una terribile vicenda dopo la quale i genitori dell’agente, Vincenzo e la moglie Augusta, morta a 80 anni nel febbraio scorso, sono diventati un simbolo dell’antimafia.

Salvini, di fronte alla storia di Vincenzo, ha detto che saranno approvate dure leggi contro la mafia. È a questo punto che Agostino ha risposto con la frase che ha fatto scatenare la rabbia sul web: “Tenga duro, ministro”.

Per questa frase in molti, sul web, hanno criticato il padre del poliziotto ucciso. Oggi Agostino ha spiegato: “Certo che gli ho detto di tenere duro. Si parlava di contrasto alla mafia, non di politica. Stamattina veniva inaugurato un commissariato della Polizia di stato, quella stessa Polizia di cui mio figlio faceva parte e quello stesso Stato per cui è morto. La mia testimonianza in un luogo, Corleone, che ha sofferto direttamente i mali di Cosa Nostra, nel momento in cui si rafforza la presenza dello Stato, è parte del mio impegno sociale”.

Al nostro Gaetano Pecoraro Vincenzo, nell’intervista che vedete qui sopra, ha confidato la sua più grande paura: “Non arrivare a vedere chiuso questo processo, per vedere condannato chi ha ucciso mio figlio”. 

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