Genocidio dei Rohingya: la Corte penale internazionale apre un'inchiesta | VIDEO
Finalmente il Tribunale dell’Aia indagherà sulla persecuzione dei Rohingya, la minoranza musulmana del Myanmar atrocemente perseguitata e massacrata da militari ed estremisti buddisti. Noi de Le Iene vi abbiamo raccontato con Gaston Zama questa gravissima crisi umanitaria fatta di quotidiani massacri di massa, villaggi distrutti, milioni di profughi, mutilazioni, stupri e bambini uccisi
730 mila persone costrette a lasciare le loro case e 6.700 morti in un solo mese: sono gli ultimi dati aggiornati del genocidio dei Rohingya, la minoranza musulmana perseguitata ferocemente nel Myanmar. Noi de Le Iene vi abbiamo parlato di una più grave crisi umanitaria in atto nel mondo con il reportage di Gaston Zama che trovate qui sopra.
Finalmente oggi la Corte penale internazionale dell’Aia ha deciso di aprire ufficialmente un’inchiesta sui crimini e i massacri contro i Rohingya perpetrati nel paese del sud-est asiatico per mano di militari ed estremisti buddisti. Il Myanmar non aderisce allo Statuto di Roma che ha istituito la Corte penale internazionale. Ma, il suo vicino, Bangladesh, dove si trovano milioni di profughi fuggiti dall’orrore, sì.
“Ci stavano bruciando le case e siamo scappati qui”, racconta nel nostro servizio un bambino costretto a vivere nel campo profughi. “Sparavano, bruciavano tutto e ci picchiavano”, ricordano i piccoli. Abbiamo scelto di farci accompagnare da Suor Cristina, vincitrice dell’edizione del 2014 del talent show tv The Voice of Italy, per “riparare” al fatto che Papa Francesco non aveva visitato i campi profughi dei musulmani in Bangladesh. Con lei abbiamo raccolto le testimonianze di chi è fuggito dal genocidio sistematico, alimentato dagli estremisti induisti e dall’esercito. Un orrore che non sembra avere fine tra massacri, villaggi distrutti, mutilazioni, stupri e uccisioni di bambini.
A generare forti polemiche è stata anche la mancanza di una presa di posizione da parte del premio Nobel per la Pace rivolto a Aung San Suu Kyi. In un’occasione pubblica, la donna ha anzi parlato dell’emergenza Rohingya difendendo la giunta militare e spiegando che le forze di sicurezza stavano prendendo ogni misura necessarie per non colpire i “civili innocenti” e per evitare “danni collaterali”. Dichiarazione che ha portato l’Onu a scagliarsi contro il Premio Nobel: “Non ha usato in nessun modo il suo ruolo di capo del governo de facto, né la sua autorità morale, per contrastare o impedire gli eventi nello stato di Rakhine”.
Ora la speranza è la decisione della Corte dell’Aia possa frenare il genocidio e portare a una vera mobilitazione internazionale per fermarlo. E che, un giorno, si possa vedere anche puniti i responsabili di questi orribili crimini contro l’umanità.