L'Antimafia siciliana rilancia i dubbi sull'agguato a Giuseppe Antoci | VIDEO
L’ex presidente del Parco dei Nebrodi è stato vittima di un attacco nel maggio 2016, mentre combatteva contro la mafia rurale siciliana. “Tre possibili scenari: un attentato mafioso fallito, un atto puramente dimostrativo, una simulazione”. Noi de Le Iene lo avevamo intervistato con Gaetano Pecoraro
Ancora non c’è nessuna risposta su quanto accaduto a Giuseppe Antoci, l’ex presidente del Parco dei Nebrodi contro cui il 17 maggio 2016 sono stati sparati, mentre si trovava a bordo di una macchina blindata, alcuni colpi di fucile in una dinamica che sembrava quella di un agguato mafioso poi sventato. Antoci, che all’epoca guidava il parco naturale in una zona della Sicilia schiacciata dall’influenza della mafia rurale, aveva appena varato un protocollo antimafia che avrebbe reso la vita molto più complicata per le cosche e per questo era sotto scorta.
Dopo l’archiviazione dell’inchiesta penale, che non ha prodotto alcun risultato, anche la commissione Antimafia della Regione ha gettato la spugna: non si può stabilire una verità certa su quanto. L’antimafia siciliana si è concentrata su tre possibili scenari: un attentato mafioso fallito, un atto puramente dimostrativo, una simulazione. “Ipotesi, tutte, che vedono il dottor Antoci vittima: bersaglio della mafia nelle prime due; strumento inconsapevole di una messa in scena nella terza”, ha scritto la commissione in una relazione da più di cento pagine approvata all’unanimità. Dalle indagini svolte, sembra che sia proprio la terza ipotesi quella più plausibile. “L’auspicio è che su questa vicenda si torni ad indagare per un debito di verità che va onorato. Qualunque sia la verità”, ha detto il presidente dell’Antimafia siciliana, Claudio Fava.
Nel servizio di Gaetano Pecoraro che potete vedere qui sopra noi de Le Iene abbiamo raccontato la storia di Antoci e quella mafia rurale siciliana legata ai grandi latifondi e ai miliardi che la comunità europea elargisce ai contadini. Quando il dottor Giuseppe Antoci diventa presidente del parco, scopre che “i terreni degli enti pubblici erano stati per anni una fonte di finanziamento per alcune associazioni mafiose”. “Quando sono arrivato ho trovato una sorta di torta divisa e in mano a pochi. Quei pochi erano le associazioni mafiose”.
“Tutto girava attorno all’autocertificazione antimafia”, spiega Antoci alla Iena. Il mafioso tramite la sua azienda agricola affittava i terreni del parco e poi chiedeva i fondi europei destinati ai contadini, potendo così partecipare a qualsiasi bando pubblico inferiore ai 150 mila euro con una semplice autocertificazione antimafia. Antoci allora interviene per cambiare le cose: “Noi abbiamo stabilito che non ci fosse più la soglia dei 150 mila euro per l’autocertificazione, ma che tutto dovesse passare dalla certificazione antimafia della Prefettura”. Per questa sua lotta contro la mafia attira subito su di sé avvertimenti e minacce, fino alla notte del 17 maggio 2016, su cui resta ancora fitto il mistero.