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Lucia Riina torna indietro: “Toglierò il nome dall'insegna del ristorante”

Retromarcia con intervista della figlia di Totò, ex capo di Cosa Nostra, dopo le polemiche per l’apertura del suo ristorante a Parigi “Corleone by Lucia Riina”: “Mio padre ha la sua storia, io la mia”

Lucia Riina si dice presa in contropiede dalle polemiche dopo l’apertura del suo ristorante parigino "Corleone by Lucia Riina", di cui vi abbiamo parlato anche noi (clicca qui per l’articolo). La figlia dell'ex capo di Cosa Nostra con il clan dei Corleonesi, Totò Riina, lo racconta al quotidiano francese Le Parisien, promettendo che toglierà il nome della famiglia dall'insegna del locale.

Lucia Riina, 38 anni, dice di aver deciso di intervenire pubblicamente "soltanto per mettere a punto alcune cose e spegnere la polemica": "Non ho cercato di provocare né di offendere nessuno, volevo soltanto valorizzare la mia identità di artista-pittrice. E anche mettere in risalto la cucina siciliana. Affinché non ci sia nessun malinteso, vi annuncio che ho deciso di ritirare il mio nome dall'insegna del ristorante e dalle pubblicità, anche se mi dispiace che la mia identità di pittrice e di donna venga negata".

Lucia Riina si è trasferita a Parigi raccogliendo l'invito di Pascal Fratellini (ultimo discendente della famiglia di un celebre trio di artisti di circo originari di Firenze) a lavorare nel ristorante e a esporvi le sue opere: "Non c'è nessun riciclaggio di denaro, tutto è trasparente, è un'opportunità per cambiare vita e vendere i miei quadri, anche se rimpiango il mio paese".

"Penso che tutti abbiano il diritto di esprimersi e vivere la propria vita”, prosegue. “Ho vissuto a Corleone da quando avevo 12 anni, epoca in cui mio padre fu arrestato. Ho avuto una vita normale. Oggi sono pittrice e madre di una bambina. Mio padre ha la sua storia, io la mia".

Dice di avere solo "pochi ricordi" di quando era bambina e di non "avere voglia" di parlarne: "Non voglio essere associata all'immagine di mio padre, a tutto quello che è mafia. Voglio uscire da questa trappola. La mia vita è trasparente, non ho nulla da nascondere. Oggi sono a Parigi, lavoro in un ristorante e sono un'artista. Voglio essere conosciuta per quello che sono senza dover cambiare nome, scegliere uno pseudonimo. Ho cominciato con questo nome e con questo nome continuerò".

Casi analoghi con altrettante polemiche si erano visti con il libro "Totò Riina, mio padre, era il mio eroe" del figlio Giuseppe nel 2016 e l’anno dopo con le cialde “Zu Totò” lanciate da un’altra figlia, Maria Concetta Riina

Il nostro Giulio Golia l’ha incontrata, in un’intervista che dovete assolutamente vedere o rivedere e che vi riproponiamo qui sotto. “Quando chiudo gli occhi io vedo mio padre, voi vedete un’altra persona, poi che lui si chiami Totò Riina, questo è un altro discorso”, dice la donna ripercorrendo anche la sua infanzia, quando il padre era latitante. “Noi eravamo in giro per l’Italia, lui ci diceva che per lavoro dovevamo spostarci. Per noi era quasi un gioco. Non ci ha mai detto che dovevamo seguire o eravamo seguiti. Uscivamo per Palermo, mio padre usciva di casa normalmente”.

In famiglia non si è mai fatto scappare nulla della sua attività mafiosa? “Mio padre ci diceva che lavorava per una ditta”, prosegue Maria Concetta Riina. “Non abbiamo mai visto armi o fucili per casa. Quando ci fu la strage di Capaci noi eravamo sul divano con lui. Ho saputo del suo arresto dalla televisione. Abbiamo raccolto le nostre cose, chiamato un taxi e ce ne siamo andati. Allora capimmo che era davvero mafioso”. Dal 15 gennaio 1993, ha sempre visto il padre in carcere in colloqui tutti registrati: “Gli ho sempre chiesto come stesse, non che cosa avesse combinato”.

Guardate qui sotto l’intervista completa di Giulio Golia a Maria Concetta Riina.

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