Non solo Mose: alziamo Venezia di 30 centimetri? | VIDEO
Il sistema di paratie che dovrebbe proteggere Venezia dall’acqua alta è in gravissimo ritardo, anche a causa delle inchieste per corruzione. Giulio Golia parla con esperti che ci raccontano i sistemi alternativi al Mose, con anche una telefonata all’ex governatore Galan che lascia perplessi…
Il Mose dovrebbe salvare Venezia dalla marea. L’opera sarebbe dovuta essere pronta nel 1995. Sono passati 24 anni, il sistema ci è già costato oltre 6 miliardi e nessuno sa se e quando sarà pronto. “Speriamo che funzioni”, dice il governatore del Veneto Luca Zaia a Giulio Golia. “Le uniche prove che hanno fatto, le han fatte in laboratorio. Se funziona è un’opera stratosferica”. Già, se funzionerà…
Altre città in Europa hanno fatto altre scelte, come è successo a Londra o sul fiume Ems in Germania. Sistemi differenti che sono già entrati in funzione e con costi di realizzazione molto più bassi di quelli del Mose. A Rotterdam c’è infine la più grande diga mobile del mondo: quella barriera è costata meno della metà di quella che dovrebbe proteggere Venezia. Gli olandesi avevano vagliato una soluzione simile a quella del Mose, ma l’avevano scartata perché considerata troppo costosa.
Anche se il Mose superasse tutti i problemi di cui vi parliamo nel servizio che potete vedere qui sopra, ce n’è un altro che non sembra risolvibile: il sistema è stato progettato per essere utilizzato tra le 10 e le 30 volte. Con l’innalzamento previsto del mare, però, si renderebbe necessario chiudere le bocche di porto tra le 300 e le 400 volte all’anno, in pratica ogni giorno.
Oltre ai problemi tecnici ed economici che questo comporterebbe, ci sarebbe da affrontare anche il tema ambientale: chiudere costantemente la laguna provocherebbe dei profondi cambiamenti nella flora e nella fauna che popolano le acque di Venezia.
Un’altra soluzione, però, potrebbe esistere: “Alzare Venezia”. A sostenerlo è Giuseppe Gambolati, professore di Ingegneria dell’università di Padova. Sebbene il suo progetto possa apparire folle, è serissimo dal punto di vista scientifico. Bisogna partire da un dato: per far funzionare le vicine industrie di Marghera è stata estratta acqua dalle falde sotto Venezia e questo ha causato un abbassamento della città di 11 centimetri. Il progetto del professore prevede di iniettare acqua di mare attraverso delle pompe a profondità differenti nel sottosuolo, producendo un effetto di rialzamento che potrebbe arrivare fino a 30 centimetri.
“Dopo dieci anni Venezia sarebbe sollevata di 30 centimetri”, dice il professore. Per lui non esiste il rischio di “spezzare” la città. “Alzando uniformemente la zona non ci sarebbe possibilità di provocare rotture”. E tutto questo permetterebbe di utilizzare il Mose molto di meno. Nonostante l’apparente entusiasmo per questa soluzione, non si è mai arrivati vicini a realizzare davvero il progetto. “Sarebbe costato tra i 200 e i 250 milioni di euro”.
Nel 2014 l’intera realizzazione del Mose è stata travolta da un grave scandalo di corruzione e tangenti, di cui vi abbiamo parlato qui. Il simbolo di questo scandalo è stato l’ex governatore veneto Giancarlo Galan, che ha patteggiato due anni e dieci mesi per corruzione nell’ambito dell’inchiesta. Oggi deve risarcire 5,2 milioni di euro alla regione Veneto. Sentito al telefono da Giulio Golia, si è messo a ridere all’idea di restituire quel denaro: “Sarà nella prossima vita, nella quarta o quinta reincarnazione, non so”. Nella conversazione con l’ex presidente della Regione, che potete sentire integralmente qui sopra, Galan racconta di sapere con precisione dov’è finito il miliardo di euro che sarebbe stato distratto illegalmente dai fondi destinati alla realizzazione del Mose.
Galan però non ci dice di più e sembra di capire che i soldi che gli è stato imposto di restituire potrebbero non arrivare mai. Luca Zaia, successore di Galan, dice: “I lavori vanno avanti a seconda dei finanziamenti che hanno ricevuto. Leggendo le carte della procura, sembra che non tutti siano stati destinati ai lavori. Penso che i soldi ci fossero, ma siano andati su altri fronti”. Per Zaia c’è una sola soluzione per evitare che la realizzazione delle opere pubbliche finisca bloccata da un eccesso di burocrazia e impantanata nella corruzione: togliere alla politica il compito di redigere i bandi. “A me di tutta questa esperienza resterà una cosa, la reputazione. Questo è un paese che ha bisogno di ritrovare una identità nelle opere pubbliche: l’opera è demonizzata, ma a volte è necessaria”.