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“Ghetto” di San Ferdinando: è il terzo morto in un anno | VIDEO

Il senegalese Al Ba Moussa, che si faceva chiamare “Aldo”, è rimasto bruciato nell’incendio della sua baracca. Una tendopoli illegale e in condizioni igieniche inaccettabili, dove Le Iene erano già state più volte per raccontare un vero e proprio “inferno” sulla Terra.

Tre morti in poco più di un anno nella baraccopoli improvvisata (e illegale) di San Ferdinando, nel reggino. A morire questa volta, forse per le fiamme scaturite da un bivacco che doveva scaldare dal freddo l’uomo, è il 29enne senegalese Al Ba Moussa.

Moussa, che godeva della protezione umanitaria riconosciutagli dalla commissione territoriale di Trapani, era stato arrestato nel dicembre scorso per possesso di hashish ai fini di spaccio. “Aldo”, così si faceva chiamare l’uomo, è rimasto bruciato nel rogo che ha coinvolto, insieme alla sua tenda improvvisata e fredda, anche altre 15 baracche.

Una tendopoli, quella di San Ferdinando, in cui la morte altre due volte era venuta per portarsi via la vita di altri immigrati, e che ora è nel mirino del ministro dell’Interno Matteo Salvini, che ha subito dichiarato: “sgombereremo, basta illegalità!”

E a San Ferdinando erano state anche le telecamere de Le Iene, per documentare come in questa baraccopoli vivessero, in condizioni terribili, almeno tremila braccianti africani.

Nel 2016 Giulio Golia era andato in Calabria per raccontarvi le condizioni di vera emergenza e sfruttamento in cui vivono quei migranti (utilizzati come braccianti in nero nei campi della zona di Rosarno). Un servizio che vi aveva mostrato come poco o nulla fosse in realtà cambiato dopo la rivolta degli africani che nel 2010 avevano tentato di ribellarsi allo sfruttamento lavorativo imposto dalla ‘ndrangheta ( e il cui video potete vedere in apertura).   

La Iena Gaetano Pecoraro era poi stata come vedete in questo breve video, proprio tra le tende di San Ferdinando e vi aveva raccontato la vicenda tragica di Soumayla Sacko, il sindacalista dei migranti ucciso il 2 giugno del 2018.

Originario del Mali, 29 anni, in Italia con regolare permesso di soggiorno, attivista dell’Unione sindacale di base, Sacko difendeva  i braccianti che lavorano nella Piana di Gioia Tauro. Quella maledetta sera l’uomo stava prendendo assieme a tre amici, da una vecchia fornace abbandonata, alcune lamiere e del rame da utilizzare probabilmente nella tendopoli. Un uomo ha sparato ai tre, colpendo Soumayla alla testa uccidendolo.

E pochi giorni dopo l’omicidio era stato fermato un italiano, Antonio Pontoriero, 42 anni, che però nell’interrogatorio di garanzia aveva negato tutto. "Al giudice ha detto di non avere nulla contro gli 'extracomunitari', anzi spesso li chiamava a lavorare nelle sue proprietà", ha riferito il suo avvocato. “Sabato era nei pressi della fornace per parlare con i braccianti senegalesi che abitano nella casupola che c'è sopra l'ex fabbrica". Proprio da lì, secondo gli investigatori, Pontoriero avrebbe sparato contro chi aveva "osato" accedere all'ex fabbrica senza il suo permesso.

Il “ghetto” di San Ferdinando, ancora una volta, torna a far parlare di sé per una morte assurda. E speriamo che questa volta però a prevalere non sia solo la parola “sgombero”, ma anche “umanità”, e che si smetta di parlare delle condizioni vergognose in cui vivono queste persone solo quando la morte arriva a bussare alle loro porte.

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