Bassetti: “Boris Johnson guarito e ora in isolamento? Gli anticorpi possono diminuire. Vaccino? Una volta l'anno”
“Dopo aver preso il Covid c’è una copertura di anticorpi per 5-6 mesi, in alcuni casi questa può scendere, si può fare una verifica con il sierologico”, dice a Iene.it Matteo Bassetti. Potrebbe essere il caso del premier britannico Boris Johnson, guarito 7 mesi fa e ora di nuovo in isolamento. E ovviamente non solo di lui. “Il nuovo vaccino Pfizer? Probabilmente andrà fatto una volta l’anno come quello dell’influenza”, prosegue il presidente della Società italiana di terapia anti infettiva. “Entro il prossimo autunno possibile il ritorno a una vita normale, ma il coronavirus non sparirà”
“Dopo che una persona ha avuto il coronavirus, è presumibile che ci sia una copertura di anticorpi per 5-6 mesi. In alcuni casi poi questi potrebbero scendere e ci può essere il rischio di nuove infezioni. Boris Johnson, infetto e poi negativo 7 mesi fa e ora in isolamento potrebbe essere uno di questi”. Siamo partiti dal caso di attualità del premier britannico per parlare con l’infettivologo Matteo Bassetti, direttore della clinica malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova e presidente della Società italiana di terapia anti infettiva, della possibilità di riprendere il Covid dopo essere guariti e degli scenari che si aprono con il possibile arrivo dei nuovi vaccini, a partire da quello Pfizer (“probabilmente dovremo ripeterlo ogni anno, tra l’estate e l’autunno prossimo si può pensare di tornare a una vita normale, ma il coronavirus non sparirà” ci dice Bassetti).
È notizia di queste ore infatti che il primo ministro britannico si trova di nuovo in isolamento, dopo aver incontrato un deputato poi positivo al Covid e soprattutto dopo aver già avuto il coronavirus. Johnson si era contagiato il 27 marzo scorso, finendo anche in terapia intensiva e risultando poi negativo il 12 aprile. Dunque c’è il rischio di prendere la malattia anche per chi è già guarito?
“Al momento ci sono delle segnalazioni nella letteratura scientifica, ma si tratta di pochi casi”, risponde al telefono Bassetti parlando con Iene.it. “Per un periodo ragionevolmente breve, 5-6 mesi, si dovrebbe essere coperti dagli anticorpi Igg che si sviluppano in seguito all’infezione da Covid-19 e che servono per difendersi nel caso di un nuovo contatto con il virus. Dopo questo periodo in alcuni soggetti questi anticorpi rimangono in grande quantità e più a lungo rispetto ad altri che li perdono più rapidamente. Queste ultime persone potrebbero essere più suscettibili a rifare l’infezione nel caso di un nuovo contatto. Boris Johnson potrebbe essere una di queste”.
I rischi in questi casi sarebbero gli stessi?
“Nella letteratura scientifica si dice che chi ha sviluppato una nuova infezione dovrebbe farlo in maniera lieve rispetto alla prima. Mi sembra che su questo possiamo essere ragionevolmente ottimisti”.
Cosa direbbe di fare a chi ha avuto il Covid sei mesi fa e ha avuto contatti con positivi?
“Direi: facciamo un esame sierologico e vediamo quanti sono i suoi anticorpi. Se sono alti, potrebbe essere ‘libero’. Potrebbe essere utile tra l’altro capire chi lo è in zone per esempio come Bergamo, dove c’è stata un’alta circolazione del coronavirus e ora la situazione non è più a quei livelli di emergenza (qui anche il nostro articolo su questo, ndr). Con indagini sierologiche a 8-9 mesi di distanza sulla popolazione potremmo capire in genere chi è più ‘libero’ rispetto agli altri e può fare una vita più o meno normale”.
E se il sierologico invece rivela che chi è guarito dal Covid in primavera ha ora un livello basso di anticorpi?
“Allora bisogna comportarsi come una persona mai infettata, come gli altri insomma, se non ha più le Igg (a prescindere dall’immunità T ‘di memoria’ del nostro corpo, difficilmente misurabile). Magari si rischia solo una forma lieve, ma se si riprende il Covid si è contagiosi. Ripeto però che come reinfezioni stiamo parlando di casi riportati in letteratura a livello aneddotico quanto a numeri. Non dobbiamo dare informazioni fuorvianti”.
Ovvero?
“Alla gente dobbiamo dire che chi ha fatto il coronavirus ha sviluppato anticorpi che in qualche modo ci aiuteranno comunque a difenderci da un eventuale reinfezione. L’informazione, secondo me, deve essere oggi un po’ più posata e rassicurante. Con il panico non andiamo da nessuna parte, visto anche il prossimo arrivo del vaccino”.
Anticorpi che possono scomparire creano qualche problema proprio in questa prospettiva?
“Il vaccino Pfizer, che potrebbe arrivare per primo, prevede due somministrazioni nell’arco di tre settimane immagino proprio per questo, per evitare che l’immunità non duri e per arrivare a un livello di anticorpi talmente alto che resti per almeno un anno. Perché questo è un vaccino che probabilmente andrà ripetuto una volta all’anno, un po’ come avviene per quello dell’influenza. Ce ne sono poi anche altri in elaborazione per il Covid. Stiamo lavorando su un’infezione che conosciamo da 10 mesi, anzi meno. Pure per il vaccino dovremo scoprire cosa succede dopo 12 mesi con i livelli di anticorpi. Bisogna anche navigare a vista e non è possibile andare troppo avanti. La situazione intanto è questa: ci dicono che per fortuna sta per arrivare un vaccino”.
Cosa succederà come tempi e come impatto sull’epidemia e sulla vita delle persone?
“Bisogna innanzi tutto dare ai vaccini l’importanza che hanno e hanno sempre avuto. Non bisogna avere atteggiamenti di chiusura anacronistici dopo quello che è successo: c’è chi dice già ‘io comunque non mi vaccinerò mai’… Se noi a gennaio abbiamo il primo milione e mezzo di dosi per i medici e gli operatori sanitario e se a febbraio-marzo riusciamo a coprire la fascia più anziana, già per la prossima estate potremmo avere le persone più a rischio e più fragili in sicurezza. Quindi è ragionevole pensare che tra l’estate e il prossimo autunno dovremmo tornare a vivere una situazione totalmente normale. Mi faccia ripetere però in conclusione una cosa a cui tengo molto”.
Prego.
“Non pensiamo che il coronavirus sparirà anche quando troveremo il vaccino: qualcuno che si infetterà ci sarà. Dovremo conviverci e imparare a conviverci. Ma resta sempre sbagliata l’idea dello ‘stigma’, di un mondo che finirà col Covid. Si tratta di un virus che nel 95% dei casi è gestibile a casa, senza grandi problemi, con una semplice osservazione del paziente da parte della medicina generale e senza farmaci".