Coronavirus, qui Kenya: “Temiamo una strage, intanto arrivano le bastonate per la quarantena” | VIDEO
Una ragazza italiana, volontaria in una scuola, ci mostra in video come viene fatta rispettare la quarantena in Kenya: a bastonate. E ci racconta come, se arriva la pandemia, si rischia un massacro: “Nessuno va all’ospedale, costa troppo: si muore e basta. Poi, come si fa a restare a casa a rispettare il distanziamento di un metro quando si dorme in dieci in una piccola capanna di fango? Intanto la fame uccide già, perché non c’è più lavoro”
“Temiamo una strage”. Alice Pilia è una volontaria italiana di 26 anni in Kenya e con la sua voce gentile e preoccupata va direttamente al cuore del problema di una delle frontiere più temute dell’emergenza coronavirus, quella di una epidemia su grande scala in Africa. L’Oms ha appena lanciato l’allarme: “In tutto il continente c’è una drammatica evoluzione dell’epidemia in 46 paesi africani su 54 con 300 casi al giorno”. “Questi numeri non vogliono dire nulla”, ci dice Alice al telefono da Watamu. “Qui sarebbe impossibile contare contagi e morti, pochissima gente può permettersi di andare in ospedale. Costa tantissimo: si muore e basta, nei villaggi e negli slum spesso senza sapere di cosa”.
Alice ci ha inviato questo video dopo aver visto su Iene.it immagini analoghe di bastionate della polizia dall’India in quarantena. Da gennaio lavorava come volontaria di una onlus in una scuola in un villaggio all’interno del paese, “capanne di fango frequentate da 200 bambini dai 3 ai 14 anni”. Con l’emergenza coronavirus, è dovuta tornare sulla costa, a Watamu vicino a Malindi, una zona frequentata da molti italiani. Sta cercando di rientrare con un volo concordato con la Farnesina dopo che quello che aveva prenotato e pagato per il 24 marzo è stato cancellato
Quando è iniziata l’emergenza?
“Fino a due settimane fa era tutto normale, sulla costa c’erano ancora turisti italiani, inglesi, francesi, da tutti i paesi con l’emergenza coronavirus insomma. Poi c’è stato il primo caso in Kenya ed è cambiato tutto. E qui la fine del turismo vuol dire subito una cosa: fare la fame, letteralmente. In tantissimi non hanno più da lavorare e quindi nemmeno da mangiare”.
La gente ha paura?
“C’è una sorta di fatalismo verso il coronavirus. Tra un po’ arriverà la stagione delle piogge che già porta tanti morti e malattie. Nei confronti di noi bianchi l’atteggiamento è un po’ cambiato. Prima si avvicinavano in tanti sperando di avere dei soldi, ora tutti preferiscono tenersi lontani, ti guardano in maniera diversa”.
E se arriva la pandemia?
“Sarà una strage. Le strutture sanitarie non sono certo ai livelli del nord del mondo. Ma soprattutto la gente non va e non andrà mai dai dottori e negli ospedali perché costano tantissimo. Non se lo può permettere. Normalmente nei villaggi e negli slum si muore e basta, senza sapere di cosa. Con il coronavirus già ora non abbiamo dati minimamente attendibili. Figuriamoci se esplode l’epidemia”.
Le misure di contenimento ci sono?
“Sì, ora sono state prese tutte, sul modello europeo. E vengono fatte rispettare anche a bastonate, pure con evidenti abusi di potere: le immagini che vedete arrivano da Mombasa prima del coprifuoco in vigore ora dalle 19 alle 5 di mattina. Le strade sono sempre più vuote. Alla gente però fa più paura la fame, quella vera, quella che uccide, che colpisce già con tantissime attività chiuse e il turismo crollato”.
E la famosa distanza tra le persone di un metro?
“‘Stare a casa’ va bene per chi una casa ce l’ha. Come si fa dove la gente dorme anche in dieci in una piccola capanna di fango? Come fanno a vivere chiusi lì dentro? Come si fa a rispettare il ‘distanziamento sociale’ di almeno un metro?”.