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Coronavirus, la Svezia costretta a fare dietrofont e a imporre il divieto di assembramenti: ecco perché | I DATI

La Svezia baluardo del no al lockdown e alle restrizioni costretta a imporre il divieto di assembramento all’aperto: con il 30% delle terapie intensive occupate serve “alleggerire il peso sul sistema sanitario nazionale”, ha detto il premier. La seconda ondata sta infatti travolgendo il paese, mettendo a nudo il fallimento della strategia “light” finora adottata

Divieto di assembramento, permesso essere al massimo in 8 nei luoghi pubblici. Sembra una restrizione normale in questa epoca di coronavirus, ma a saltare all’occhio è il paese che ha deciso di imporlo: la Svezia. La nazione baluardo del no al lockdown e alle restrizioni è stata costretta a un cambio di rotta, con l’aggravarsi della situazione della seconda ondata: dal 24 novembre saranno così proibiti i raduni all’aperto con più di 8 persone e da venerdì bar e ristoranti non potranno più vendere alcolici in orario serale. 

E le cose andranno peggio”, ha ammonito la settimana scorsa il primo ministro Stefan Lovfen. Fino ad ora il limite dei raduni all’aperto era di 300 persone, in pratica proibiva solamente i grandissimi eventi: “È necessario un numero maggiore di divieti per abbassare la curva sul numero di infetti”, ha aggiunto il primo ministro svedese. “Un segnale molto chiaro e forte per tutti i cittadini su ciò che si deve fare per il futuro. Non andate in palestra e in biblioteca, non fate cene a casa. Annullatele

Già una settimana fa Stoccolma aveva stabilito il divieto di visita agli anziani ricoverati nelle Rsa, dove si sono finora concentrate oltre la metà delle vittime di coronavirus e finite in primavera nell’occhio del ciclone: secondo quanto denunciato da alcuni medici tra cui Jon Tallinger, non sarebbe stato distribuito l’ossigeno agli over 80 malati, aumentando così la letalità del virus. Accuse che però sono state smentite dal governo svedese.

Ma perché il paese ha deciso di cambiare così evidentemente rotta? La Svezia dall’inizio della pandemia ha registrato - a venerdì 13 novembre - 177.355 casi di coronavirus. Secondo le stime occupano oltre il 30% dei posti disponibili in tutto il paese. Non a caso il premier ha giustificato le nuove restrizioni con la motivazione di “alleggerire il peso sul sistema sanitario nazionale”.

I dati mostrano come la Svezia continui a performare molto peggio dei paesi vicini e comparabili: negli ultimi 14 giorni ha infatti registrato 511.9 casi ogni 100mila abitanti, contro i 259.9 della Danimarca, i 156.3 della Norvegia e i 54.7 della Finlandia. Questi tre paesi, sommati, hanno una volta e mezzo gli abitanti della Svezia e molti meno casi: 111.713 contro i 177.355 svedesi.

Le vittime registrate sono invece 6.164, anche in questo caso numeri spaventosamente più alti di quelli dei vicini: la Danimarca ne conta 764, la Norvegia 298, 371. Sommati insieme i tre paesi registrano 1.433, oltre quattro volte di meno. La letalità del coronavirus in Svezia è del 3.5%, in Danimarca dell’1.2%, in Norvegia dell’1% e in Finlandia dell’1.9%.

Insomma, i dati mostrano ancora una volta il fallimento della Svezia nel contenere la pandemia senza severe restrizioni, che come detto adesso il paese ha deciso di imporre per alleviare la pressione sul sistema sanitario nazionale. “Siamo preoccupati perché non ci aspettavamo questo aumento”, ha detto la scorsa settimana Anders Tegnell, a capo della task force svedese nella risposta al coronavirus.

In estate il paese aveva preparato tre scenari per cercare di contenere una seconda ondata, ma la situazione attuale si è dimostrata ancor peggiore della più pessimistica delle previsioni. Nonostante questo, c’è ancora chi inneggia al modello svedese come “simbolo di libertà” nella lotta al coronavirus: in questi giorni è diventato virale un video in cui una dottoressa italiana elogia il modello svedese e incita gli italiani a osservarlo attentamente per prenderne spunto. Considerando cosa mostrano i dati sul “successo” della Svezia, c’è da essere contenti che non sia accaduto.

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