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Coronavirus, bisogna fare più tamponi? Cosa dicono i dati e il modello Corea del Sud

L’Oms invita tutti a fare più test per trovare i possibili portatori del coronavirus. In Corea del Sud tamponi a tappeto hanno permesso di controllare la pandemia senza lockdown: questo modello si può replicare anche Italia?

Fare più test”. Questa frase la si sente ovunque, o meglio la si legge ovunque. Ormai uscire di casa per incontrarsi e parlare è non solo difficile, ma pure proibito. Eppure la voce continua a correre: serve fare più tamponi. Lo chiedono i cittadini, lo chiedono i lavoratori impauriti, lo chiedono persino gli operatori sanitari esposti tutti i giorni al coronavirus. Ma tra queste voci ce n’è anche un’altra, la più importante di tutte: quella dell’Organizzazione mondiale della sanità.

All’inizio della diffusione del coronavirus, quando la situazione era ancora “solo” epidemica, le indicazioni erano chiare: fare il tampone solo a chi presenta una seria sintomatologia tale da far pensare un contagio da Covid-19. Per chi fosse stato in contatto con un malato, quarantena di 14 giorni. E a queste indicazioni si è attenuta - quasi subito - l’Italia. Tamponi a chi ha sintomi seri, isolamento per tutti, lockdown del Paese.

Da qualche giorno però la posizione dell’Oms è parzialmente cambiata: “We have a simple message for all countries: test, test, test.”, “abbiamo un semplice messaggio per tutti i Paesi: test, test, test.”. A cosa è dovuta questa inversione di tendenza? Esiste forse un modello diverso per combattere la pandemia da coronavirus che non sia la chiusura totale delle attività e l’isolamento per tutti? 

Per cercare di rispondere, partiamo dai dati. In Italia sono stati fatti, a oggi, 206.886 tamponi che hanno trovato positive 47.021 persone: lo 0,078% della popolazione. Quindi circa un tampone ogni 4 ha rivelato la positività al coronavirus a livello nazionale. Però il dato, se analizzato regione per regione, è molto disomogeneo. La Lombardia, la regione più colpita, ha 22.264 casi totali scovati con 57.174 tamponi: più di uno su tre è risultato positivo. Il Veneto, che è la terza regione per numero di casi, ha registrato 4.031 malati attraverso 49.288 tamponi: meno di uno su dieci. Com’è possibile questa discrepanza? Semplicemente perché il governatore Zaia ha deciso di fare molti più test rispetto al suo omologo Attilio Fontana. 

La logica, dal punto di vista del Veneto, è semplice: se facciamo molti tamponi siamo più in grado di trovare i malati, anche tra coloro che sono asintomatici o hanno sintomi lievi. Così facendo è più facile isolarli e contenere la pandemia. “Modello Corea del Sud”, si è detto. Sì, perché a Seul hanno usato una tecnica molto diversa per gestire l’emergenza da coronavirus: tamponi a tappeto su tutti i cittadini, isolamento e sorveglianza attiva di tutti i positivi, restrizioni alla popolazione in salute in misura minore rispetto a quelle che stiamo conoscendo in Italia.

Anche qui vale la pena leggere i dati: la Corea del Sud ha effettuato sui suoi cittadini oltre 300mila tamponi contro i 200mila italiani, pur avendo 10 milioni di abitanti in meno rispetto a noi. Individuati così tempestivamente i positivi, il governo di Seul ha tracciato mappe degli spostamenti e dei contatti delle persone malate rendendo i dati disponibili a tutti online. Inoltre i numeri dei telefoni delle persone sottoposte a quarantena vengono registrati dal governo per permettere di controllarli. Queste misure hanno causato anche più di un dubbio sul rispetto della privacy dei cittadini, tuttavia la pandemia - la Corea del Sud è il secondo paese dell’Asia più colpito - è stata rapidamente controllata: i positivi sono poco più di 8mila con 92 vittime, e i casi aumentano di circa 100 unità al giorno.

Ma perché la Corea del Sud ha applicato un sistema così diverso da quello europeo, in parte andando contro alle indicazioni delle istituzioni sanitarie globali? Perché memore della lezione subìta dalla Mers. Nel 2015 infatti il Paese si trovò a essere colpito da una epidemia del Middle east respiratory desease, un coronavirus per alcuni aspetti simile a quello attuale: il governo e le autorità si trovarono spiazzate e impreparate a gestire l’emergenza. Decisero un parziale lockdown, il turismo e altre attività precipitarono nell’incertezza e ci fu bisogno di un ingente intervento pubblico per far ripartire l’economia.

L’epidemia fu per fortuna contenuta con poche centinaia di casi, ma la lezione fu imparata: è per questo che la Corea del Sud ha agito così tempestivamente per arginare la pandemia del nuovo coronavirus. E i dati attuali sembrano dare loro ragione. Allora perché gli altri Paesi non stanno adottando fin dall’inizio un modello simile?

In primo luogo nessun altro Paese occidentale ha avuto a che fare con serie epidemie negli ultimi anni, quindi nessuno era preparato come la Corea del Sud a gestire l’emergenza. E poi si pone un altro problema: i nostri laboratori a oggi non sono attrezzati per svolgere più test di quelli che vengono fatti attualmente. Lo ha spiegato chiaramente anche Walter Ricciardi dell’Oms: “La nostra capacita di analisi è tale che non riusciamo a farli nemmeno ai sintomatici”, ha detto. Inoltre, Ricciardi ricorda anche come sia necessario essere certi che i test siano attendibili: "In Germania è stato scoperto che il 70% erano falsi positivi", ha affermato.

In questo momento l’Italia non è quindi in grado di seguire il modello della Corea del Sud. Anche se il Veneto e l’Emilia Romagna stanno spingendo per adottare questo tipo di soluzione. Che sia questa la nostra vera arma per fermare la pandemia del coronavirus?

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