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News | di Matteo Gamba |

“Covid e suicidio: peggio ora che a inizio della pandemia. Ecco cosa fare subito, anche in famiglia”

“Serviva e serve ora una task force di psichiatri e psicologi disponibile 24 ore su 24 per tutti perché l’allarme suicidi è più alto ora, tra seconda ondata e diminuzione dei contagi, che a marzo-aprile”. Lo psicoanalista Maurizio Montanari parla con Iene.it di un rischio e una realtà tornati d’attualità per un dato che arriva dal Giappone. Ecco cosa sta succedendo, chi rischia di più e cosa fare a livello pubblico ma anche in casa. Partendo da tre categorie e da una fascia d’età

“Il numero e i rischi di suicidio in Italia sono più alti ora che all’inizio della pandemia”. Proprio in quel periodo, il 9 aprile avevamo già sentito lo psicoanalista Maurizio Montanari sui rischi psicologici connessi a epidemia e lockdown in questo articolo. Oggi torniamo a parlarci dopo che un reportage della Cnn ha diffuso un dato: in Giappone solo in ottobre ci sono stati 2.153 suicidi, più dei duemila morti per tutta la pandemia in quel paese, che affrontando già la terza ondata. A Tokyo il problema suicidi è storicamente diverso e più ampio, c’è però un aumento in questi mesi legato proprio alla crisi socio-economica da coronavirus.

Quanto stiamo pagando questo prezzo in Italia?
“Molto. E i pericoli sono più grandi ora con la seconda ondata. A marzo-aprile c’era l’emergenza improvvisa, ‘il cataclisma’, contro cui abbiamo schierato tutti le nostre forze migliori. La prima fase è stata contraddistinta dall'angoscia, che ha permeato la società nel momento in cui il pericolo era incombente, ora c’è il rischio della fase della rassegnazione, il pericolo di pensare: tutto è stato vano, il virus è tornato con la stessa forza e tornerà.  Anche se la curva dei contagi si abbassa e i vaccini sono all’orizzonte, una dichiarazione come quella di ieri del più importante virologo americano, Anthony Fauci, ‘rischiamo un'ondata dopo l'altra’, può essere una involontaria bomba depressiva. E tutto è purtroppo concretissimo, non solo teoria: basta pensare a chi magari si era indebitato per andare avanti col lavoro, pensando che alla fine tutto sarebbe andato bene, e si è trovato di nuovo chiudere. La botta può essere troppo forte, economicamente ma anche psicologicamente: ‘Basta la faccio finita, tanto anche se non fallisco ora, fallisco dopo’”. Le nuove chiusure, e l'ipotesi che altre ne verranno, ha determinato quello stato proprio dei periodi di recessione: la crisi è per sempre, proprio come nel romanzo 'Furore' di  Steinbeck".

Chi è più a rischio?
Cinquantenni e sessantenni che hanno investito tutto sul lavoro, anche come riconoscimento sociale ed esistenziale. Chi è più giovane e magari era già abituato a essere precario può pensare che c’è ‘tutta la vita davanti’. Chiudere e provare a ripartire può sembrare impossibile a un’altra età, per un’altra generazione. È il futuro in sé che sembra chiudersi e qui le tendenze suicidarie possono attecchire ingenerando una sensazione di ‘capolinea’”.

Ora però qualche speranza c’è all’orizzonte tra vaccini e calo dei contagi.
“Purtroppo c’è un’altra faccia della medaglia anche in questo. Nel 'dopo' di ogni catastrofe c'è sempre un effetto che contempla i disturbi post traumatici, come testimoniano i reduci di guerra e chi ha vissuto un sisma. Faremo i conti anche ad acque calme con spinte suicidarie. Dopo la mobilitazione delle energie, c’è il rischio di crollo. Finito l’allarme, i disastri accumulati nella mente e nello spirito possono occupare lo spazio lasciato vuoto daIl’emergenza. Il trattamento deve essere immediato, ora, dopo potrebbe essere troppo tardi per recuperare certi disagi”.

Cosa si poteva fare e si può fare per frenare i suicidi?
“Si doveva istituire una task force nazionale disponibile 24 ore su 24 di psichiatri, psicoanalisti, psicologi, pronti ad ascoltare in ogni momento chi si sentiva in grave crisi. Al telefono, via computer, a voce e in video, in presenza se e quando possibile. Occupandosi in concreto dei casi singoli di disperazione e isolamento. Non è successo, fatto salvo tante piccole realtà locali che si sono attivate, va fatto, subito. Senza aspettare altre ricadute sulla psiche e sulla vita delle persone. Soprattutto partendo da tre categorie a cui dedicare un’attenzione particolare”.

Quali?
“Il personale medico e sanitario, innanzi tutto. Hanno dovuto separare famiglie, contare i morti, prendere decisioni drammatiche e sono tornati a doverlo fare. Ma l’usura mentale, emotiva e psicologica è stata particolarmente dura anche per chi lavora nelle forze di polizia e che ha dovuto occuparsi degli altri con decisioni altrettanto difficili mantenendo l’ordine pubblico e facendo rispettare le regole del lockdown, o per i carcerati, già in un ambiente chiusissimo in cui per esempio la mancanza dei colloqui con i familiari può essere un punto di rottura in un isolamento già altissimo. Un discorso a parte lo meritano poi i più anziani”.

Anche per loro il pericolo di togliersi la vita è più alto ora?
“Sì, il meccanismo del ritorno dell’emergenza dopo aver dato il meglio di sé per superare la prima, li colpisce più duramente. Non solo, anche l’idea di non poter vedere comunque a lungo i propri cari, a partire da Natale, può far perdere le speranze, la voglia di lottare. E l’arrendersi, l’idea che tutto è finito, di chiudere l’esistenza da soli sono pericolosissimi in chi non vede magari già da tempo figli e nipoti”.

Cosa può fare chi vive vicino a una persona a rischio?
Non è assolutamente vero che ‘chi dice di volersi ammazzare, non lo farà mai’. È un luogo comune, drammaticamente sbagliato, soprattutto in questo momento. Frasi del genere sono sempre un campanello d’allarme molto preoccupante. Tendenza all’isolamento, pensieri e frasi di fine, rottura delle routine, segnali di distacco e depressivi: prima di suicidarsi una persona si spegne piano piano. Non bisogna pensare che a mia moglie, mio marito, ai miei figli, mia madre, mio padre, questi pensieri passeranno dopo la pandemia. Bisogna fare attenzione, mettersi appunto in ascolto, parlare subito e in certi casi avvisare gli specialisti. Per prevenire altre tragedie”.

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Sara Matuozzo, 22 anni, ci ha contattato per lanciare un appello e per raccontarci in tempi di lockdown il suo, quello che vivono tantissimi ragazzi e adulti malati psichiatrici. Spesso soli, in casa, ridotti al silenzio: tutti i giorni, tutto l’anno. “Il dolore dentro mi ha portato all'autolesionismo, a non capire se intorno a me c’è la realtà o un sogno terribile”. Il suo incubo è iniziato a scuola, tra bulli e notti insonni al computer


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