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News | di Matteo Gamba |

“Io, psicologa dopo anoressia e bulimia: cara Matilde, ecco come ci si può salvare”

Federica Gorelli, 33 anni, ha sofferto in maniera gravissima di anoressia e bulimia. Si è salvata ed è diventata psicologa per aiutare gli altri. Ci ha contattato per raccontarci la sua storia dedicandola a Matilde, che Veronica Ruggeri ha intervistato nel suo servizio su vita e problemi durante la quarantena di due milioni di italiani che soffrono di disturbi alimentari

“Ho visto gli occhi spaventati di Matilde nel vostro servizio su anoressia e bulimia durante la quarantena e vi ho contattato: volevo raccontarle la mia storia perché da questo incubo atroce si può uscire”.

Federica Gorelli, 33 anni, romana, parla al telefono all’inizio di ogni frase con la voce velata da un leggero tremito al ricordo del dolore. Lo supera ogni volta con la forza conquistata. Lei che ha dedicato poi la vita a curare gli altri che soffrono di disturbi alimentari laureandosi in Psicologia e studiando ora per diventare fra un anno Psicoterapeuta familiare. Il suo racconto lo dedica a Matilde, che potete rivedere qui sopra nel servizio di Veronica Ruggeri del 28 aprile.

Come è iniziato tutto?
“A 13 anni: ero in terza media, nel pieno della preadolescenza, ai tempi delle prime uscite con i ragazzi. Sono sempre stata molto sportiva, facevo ginnastica artistica a livello agonistico. Ho iniziato una dieta quasi per gioco. Ci sono voluti pochissimi mesi per entrare nel vortice dell’anoressia, subito pienissimo. Mangiavo solo frutta e verdura. Sono alta 1 e 65, sono arrivata a pesare 43 chili”.

Hai capito perché? Sapevi di stare male?
“Dietro soprattutto c’erano dinamiche in famiglia di incapacità di esprimere sentimenti e difficoltà personali, anche solo parlarne era impossibile, con l’aggiunta dei problemi dell’adolescenza. L’ho capito col tempo. Certo che sapevo di stare male, non è che un anoressico per esempio non ha fame, è solo che la volontà ossessiva di controllo è più forte, troppo forte. I miei, ma anche gli amici e tutta la scuola, mi sono stati molto vicini, abbiamo fatto anche terapia familiare. Poi purtroppo sono peggiorata”.

Cosa è successo?
“Un anno dopo, in contemporanea con una grave malattia di mia madre, ho ripreso a mangiare. Dopo che mamma è tornata a casa ho cominciato a vomitare. Era la bulimia: avevo perso completamente il controllo”.

Fino a dove è arrivato l’incubo?
“Avevo invertito il giorno con la notte. E la notte la passavo sveglia a mangiare e vomitare, più volte, di continuo, letteralmente per ore. Non andavo più scuola. A un certo punto vivevo tra camera e bagno e ho sentito che non riuscivo più non solo a uscire ma anche a pensare, a parlare, a ricordarmi le cose. Ero terrorizzata, mi sono detta: ‘Il mio cervello si sta fondendo, devo fare qualcosa': ho deciso di ricoverarmi”.

Quanti anni avevi?
“Era il maggio 2004, avevo 17 anni, sono stata ricoverata per 5 mesi in un centro che si occupa di disturbi alimentari sul lago di Garda, che mi ha salvata. Mi sono staccata dal contesto in cui era nata la malattia e mi sono ripresa la vita. Grazie a giornate organizzate per aiutare questo percorso, con infermieri, terapeuti, altri che soffrono di questi problemi, un programma alimentare, molte attività e un’esistenza che tornava finalmente strutturata. Ho imparato tantissimo, sono rinata, nonostante un’altra ricaduta successiva, e tutto questo mi ha aiutato anche durante la quarantena”.

Il lockdown ha aggravato la sofferenza di quei due milioni di italiani che soffrono di disturbi alimentari?
“Purtroppo sì, non solo per il contatto continuo con il cibo. È che in quarantena non hai alternativa a questo rapporto, non puoi uscire, distrarti, e oltretutto ti trovi immerso sempre dentro a quelle dinamiche familiari che magari ti hanno fatto ammalare”.

Cosa vorresti dire a Matilde?
“Le mie prime esperienze con i terapeuti non erano state buone, abbiamo perso tanto tempo, si deve intervenire subito: non si conoscevano i disturbi alimentari allora e soprattutto non si sapeva come curarli. È anche per questo che sono diventata psicologa. Vorrei dire alla ragazza del vostro servizio che oggi le cure ci sono e di avere fiducia: se ne può uscire. Ti ho visto spaventata, Matilde, e mi piacerebbe anche parlarti di persona. Ti capisco benissimo: stare male purtroppo con questi disturbi è normale, non ce la puoi e non ce la devi fare da sola, devi chiedere un aiuto forte per spiccare il volo, magari con terapie familiari o con un ricovero se sarà il caso. Non vergognarti, non avere paura, non sentirti in colpa: è una malattia, da curare, poi ti aspetta solo il meglio. Te lo garantisco perché l’ho vissuto”.

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