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Chico Forti e quel documentario sulla morte del killer di Gianni Versace | VIDEO

Nella quinta puntata dell’inchiesta di Gaston Zama vi raccontiamo del documentario che Chico Forti realizzò sulla morte di Andrew Cunanan, l’assassino di Gianni Versace. Secondo il nostro connazionale, quella produzione, in cui criticava l’operato della polizia di Miami, è alla base del presunto accanimento contro di lui

Chico Forti è stato condannato all’ergastolo negli Stati Uniti per l’omicidio di Dale Pike, avvenuto il 15 febbraio del 1998 a Miami. Lui si è sempre dichiarato innocente e vittima di un errore giudiziario: da venti anni sta però scontando la pena in un penitenziario di massima sicurezza americano. Sono molte le cose che sembrano non tornare in questa vicenda, tanto che il governo ha annunciato l’intenzione di chiedere la grazia per Chico. “Mi ha riempito di gioia, anche perché ho l’impressione che questa volta si tratti di parole concrete”, ci ha detto Chico Forti che ha anche voluto ringraziare Luigi Di Maio per le parole di vicinanza espresse su Facebook.

In questa nuova puntata dell’inchiesta di Gaston Zama approfondiamo un altro tema della vicenda di Chico Forti, quella che secondo lui sarebbe la vera ragione dietro alla sua condanna all’ergastolo: il documentario da lui realizzato sull’omicidio di Gianni Versace e soprattutto sulla figura del suo assassino, Andrew Cunanan.

Prima di scendere nei dettagli, però, riassumiamo quanto raccontato in precedenza. Nella prima puntata vi abbiamo raccontato la storia di Chico Forti fino al 15 febbraio 1998: quel giorno viene trovato su una spiaggia di Miami il cadavere di Dale Pike, ucciso con due colpi di pistola: per quell’omicidio Chico è stato condannato all’ergastolo.

Nella seconda puntata vi abbiamo invece dato conto di tutto quello che sembra non tornare nelle indagini e nel processo che hanno portato alla condanna a vita per Chico Forti. In particolare la scena del crimine sembra essere stata manipolata affinché Chico potesse risultare colpevole dell’omicidio di Dale Pike. Una giurata di quel processo ci ha mandato anche un messaggio sostenendo che l’intero procedimento “è stata una cazzata”.

Nella terza puntata vi abbiamo raccontato come il presunto movente dell’omicidio, una truffa ai danni di Tony Pike, sembra non reggere di fronte ad alcune evidenze che non sarebbero state considerate durante il processo. Vi abbiamo dato conto anche di un’altra persona, Thomas Knott, che sembra potesse avere un possibile movente e non sarebbe stato considerato durante il processo.

Nella quarta vi abbiamo parlato della bugia che Chico disse per telefono alla moglie la sera in cui recuperò Dale Pike all’aeroporto di Miami. Proprio quella telefonata sarà cruciale nel localizzare Chico Forti nelle vicinanze della spiaggia in cui fu trovato il cadavere. Infine vi abbiamo raccontato della scoperta in zona Cesarini di una prova fondamentale: alcuni granelli di sabbia nella macchina del nostro connazionale, sul cui ritrovamento però aleggia più di un dubbio.

In questo quinto episodio, come detto, vi raccontiamo quella che secondo Chico Forti sarebbe la vera ragione che si cela dietro alla sua condanna all’ergastolo. “Non posso esserne certo”, chiarisce lui. “È indubbio che io sia stato un personaggio scomodo per alcuni dei poliziotti del dipartimento di Polizia di Miami. L’aver sollevato dubbi, aver fatto scoprire quella polvere sotto il tappeto quando il pavimento sembrava tutto bello pulito non è stato certo un qualcosa a mio favore”.

Quella polvere e quei dubbi riguardano il caso Versace. Gianni Versace venne ucciso la mattina del 15 luglio 1997 con due colpi di pistola sugli scalini della sua villa a Miami Beach. Viene dichiarato morto poche ore dopo al Jackson Memorial Hospital di Miami. Dell’omicidio del leggendario stilista fu incolpato Andrew Cunanan, un serial killer di 27 anni. I funerali di Versace furono celebrati nel Duomo di Milano alla presenza di moltissime celebrità tra cui la principessa Diana, Sting ed Elton John.

Mentre tutto il mondo piange il genio della moda, intanto, a Miami si scatena la caccia all’uomo. Dopo otto giorni, il 23 luglio Andrew Cunanan viene localizzato in una casa galleggiante a Miami Beach. Sul luogo arrivano le televisioni di tutto il mondo per seguire il blitz dell’Fbi. Quando gli agenti fecero irruzione però trovarono solo il cadavere di Cunanan, riverso su un letto e con una pistola in mano: “suicidio”. L’arma con cui si sarebbe sparato sarebbe stata la stessa dell’omicidio di Gianni Versace.

Ma cosa c’entra Chico Forti con questa vicenda? Il nostro connazionale a Miami era diventato un produttore televisivo. A Chico viene in mente di acquistare i diritti per entrare per primo in quella casa galleggiante dove fu trovato morto Cunanan per realizzare uno scoop. Grazie a un gancio, riesce nell’intento e compra i diritti televisivi. Dopo le forze dell’ordine è così il primo a entrare in quella casa galleggiante e realizza un reportage dal titolo “Il sorriso della medusa”, uscito nel settembre del 1997 a soli due mesi da quel suicidio.

In questa sua inchiesta Chico Forti dà spazio a una versione dei fatti differente: Andrew Cunanan non si sarebbe suicidato ma sarebbe stato ucciso e poi portato in quella casa galleggiante per inscenare il suicidio. Un documentario che sembra pestare i piedi all’operato della polizia di Miami. “Non avevo un’idea chiara prima di entrare in quella casa”, ci dice Chico. “Avevo però già un’idea, che ci fossero tante cose che non quadravano. Era una versione troppo comoda, troppo conveniente quella che era stata data dal capo della polizia alla stampa”.

Un mistero, quello del suicidio di Cunanan, che riempie le pagine dei giornali e i telegiornali di tutto il mondo. Sul caso il New York Times scrisse: “Suicidio e mistero”. I dubbi su quanto accaduto, insomma, sono molti in quelle settimane: non solo sulla morte del serial killer ma anche sull’omicidio di Versace. Anche il compagno storico dello stilista, Antonio D’Amico, espresse le sue perplessità: “Io non posso chiedere la riapertura del caso, ma è stato chiuso troppo velocemente. Non credo a niente di quello che hanno detto i giornali. Sono convinto che ci sia dietro altro”, disse in una intervista.

D’Amico fu il primo a soccorrere Versace dopo che lo stilista fu colpito: né lui né gli altri testimoni furono mai in grado di identificare con certezza Andrew Cunanan come l’uomo che sparò. Questo aspetto fu sottolineato anche, subito dopo la chiusura delle indagini, anche da Richard Barreto, il capo della polizia di Miami. Le dichiarazioni di Barreto, che potete ascoltare nel servizio qui sopra, entrarono anche nel documentario di Chico Forti.

A un certo punto a ipotizzare che Cunanan non fosse l’assassino di Versace fu anche Frank Monte, detective privato ingaggiato dallo stesso Versace prima della sua morte. “Era convinto che al massimo lo avrebbero rapito”, disse. “Certo non immaginava che avrebbero tentato di ucciderlo. Secondo me è successo che una persona vicino a lui, ma non parte della famiglia, abbia commissionato il suo omicidio. Un lavoro da professionisti”. Secondo lui le autorità avrebbero trovato comodo incolpare Cunanan per non entrare dentro la vicenda dell’omicidio. “Sono in tanti tra investigatori e giornalisti a conoscere la verità, ma a nessuno conviene fare molto rumore su questa storia”, disse. “Basta parlare con qualche investigatore o avvocato per capire che è abbastanza improbabile che le cose siano andate a quel modo”.

Una messa in scena insomma, di cui si sarebbe convinto anche Chico Forti una volta entrato in quella casa galleggiante: “Io ero inesperto, il mio primo pensiero fu di consultarmi con una persona che avevo molto a cuore”, ci dice Chico. “Il generale Sgarlata, a cui chiesi aiuto”. Dopo alcune consultazioni il nostro connazionale inserisce nel documentario tutti i suoi dubbi, tra cui quello sulla persona che segnalò alla polizia quella casa galleggiante, ovvero il custode Fernando Carrera.

Il custode disse di aver udito uno sparo, ma secondo le ricostruzioni degli inquirenti quello sarebbe stato il colpo con cui Cunanan si uccise. Una versione che venne messa in dubbio da alcune testate locali e su cui Chico Forti decise di indagare. “Il fatto che un killer seriale si fosse spaventato per aver sentito una voce di un uomo di 70 anni è una versione che non ho mai accettato”, ci ha detto. Secondo lui Cunanan dalle finestre di quella casa galleggiante avrebbe potuto vedere che alla porta c’era il custode.

Il reportage di Chico Forti su quella casa galleggiante aveva gettato ulteriori dubbi, perché secondo lui alcuni dettagli della scena del crimine cozzavano con la ricostruzione fornita dagli inquirenti: “La mia ipotesi è che la versione del suicidio fosse una panzana, una cosa di comodo”. Dubbi che sembrano anche confermati da un professore intervistato da Gaston Zama, come potete vedere nel servizio qui sopra. Secondo il professore sono molte le cose che potrebbero apparire sospette in quella scena del crimine, dalla ferita sulla testa di Cunanan alla posizione in cui è stata ritrovata la pistola.

Gli enigmi su Andrew Cunanan non sono però finiti: sul furgone rosso del serial killer, trovato non distante dalla villa di Versace, viene ritrovato un passaporto di Cunanan del principato di Sealand, un autoproclamato microstato al largo delle isole britanniche la cui sovranità non è riconosciuta da nessuna nazione del mondo. Il principato nel corso del tempo è stato implicato in vari scandali. Nella casa galleggiante, dove fu rinvenuto il cadavere di Cunanan, venne trovato anche un secondo passaporto di Sealand intestato al proprietario dell’abitazione. Si tratta di un pluripregiudicato tedesco, Torsten Reineck, condannato per evasione fiscale che, interrogato dall’Fbi, avrebbe ammesso la possibilità che Cunanan lo conoscesse per aver frequentato la sua Spa gay a Las Vegas.

Chico Forti nella residenza dove abitava conosceva qualcuno che conosceva Reineck: “Thomas Knott fu il gancio che mi offrì questa possibilità”. Ancora una volta in questa storia appare il nome di Knott, il pluripregiudicato che all’inizio era sospettato insieme a Forti dell’omicidio di Dale Pike. Fu proprio lui a presentare a Chico il proprietario di quella casa galleggiante e, anche grazie a lui, riesce a ottenere i diritti televisivi per girare il reportage sulla morte di Cunanan.

A questo punto entra in gioco un altro personaggio chiave di questa vicenda: Gary Schiaffo, il capo detective nel caso Cunanan.”Una figura chiave fin dall’inizio, perché anche quello… senza la porta di Schiaffo, senza gli elementi che Schiaffo mi fornì”, il reportage di Chico avrebbe avuto un’importanza minore. Quella intervista dava voce alla polizia di Miami.

Non sarà però l’ultima volta che Chico Forti e Gary Schiaffo avranno a che fare l’uno con l’altro. “La persona che nella mia mente rappresentava gli organi di polizia, quindi la persona che era per me era il poliziotto per antonomasia era Gary Schiaffo”, ci dice Chico. “Quindi quando ho scoperto a New York la morte di Dale Pike il primo pensiero, la prima persona che mi è venuto in mente di contattare fu proprio Gary Schiaffo. Gli chiedo di andare molto veloce, perché non ho i dati precisi ma solo pezzi di infarinatura su questa morte di Dale, a prelevare Heather e con lei andare ad attendere all’arrivo Tony Pike. Io sarei arrivato con il primo volo e allora saremmo andati insieme alla stazione di polizia per poter parlare e aiutare sul caso”.

“Volevo che Schiaffo andasse a prendere mia moglie perché una delle prime cose che ho avvertito dentro di me era una sensazione di paura, di pericolo nei confronti di Heather e dei miei figli”, continua Chico Forti. Durante il processo Gary Schiaffo verrà ascoltato come persona informata sui fatti e la giudice che leggerà la decisione della giuria sarà Victoria Plazen, che anni prima aveva fatto parte della squadra capitana da Schiaffo che poi indagò sull’omicidio Versace.

Anni dopo Gary Schiaffo fu condannato per condotta illecita e falsificazione di documenti: “Queste erano persone che in un modo o nell’altro, direttamente o indirettamente, era coinvolte anche con le indagini sul caso Cunanan-Versace”.

Tornando proprio al giorno dell’omicidio di Gianni Versace, bisogna aggiungere che Scrim Shaw, il capo investigatore della polizia Miami, sostiene che Andrew Cunanan fosse diventato il capro espiatorio di quella vicenda. Si lamentò anche che le indagini fossero state chiuse con troppa fretta. Alcuni giornali arrivarono poi a ipotizzare che ad uccidere Versace non fosse stato Cunanan ma la criminalità organizzata. Quelle illazioni però furono bollate come fake news.

A un certo punto esce un libro, che nessuno ha mai bollato come fake news: “Metastasi”, di Gianluigi Nuzzi e Claudio Antonelli. Nella pubblicazione si riportano le dichiarazioni di un pentito della ‘ndrangheta, Giuseppe Di Bella, che dice: “Lo stilista aveva legami con Paolo De Stefano”, boss della ‘ndrangheta. Poi aggiunge: “De Stefano mi disse che lui aveva Versace per le mani, ce lo avevano in pugno. Posso immaginare che Gianni Versace sia stato ucciso per un problema di debiti”.

A spingere l’immaginario sulla pista mafiosa fu anche un particolare curioso della scena del crimine: un piccione morto davanti ai gradini della villa di Versace. “Questo lasciare un piccione morto vicino al corpo dello stilista per me fu un messaggio”, dice Chico. “Fu un’altra delle cose che mi diede l’impulso, mi diede la voglia di saperne di più. Era troppo casuale, volevo sapere il significato di questo”. Così Chico decide di mettersi in contatto con Mario Puzo, l’autore del libro “Il padrino”. “Gli chiedo quali sono i passi da fare, quali sono secondo lui le cose da fare, sapendo che lui aveva fatto la stessa cosa tanti anni prima, prima di arrivare a ‘Il padrino’”, ci dice Chico.

Tra le altre cose Chico chiede un parere su quel reperto che lo aveva incuriosito, il piccione morto. Secondo la polizia l’animale sarebbe morto a causa di alcune schegge derivate da uno dei proiettili che uccise Versace. “L’ipotesi che fossero pezzi del proiettile che hanno colpito il piccione è una gran panzana, una cosa impossibile”, sostiene Chico.

Per verificare questa ipotesi Gaston Zama ha contattato anche un investigatore privato di New York ed esperto forense, Donald Frangipani: “Quando vediamo un uccello vicino al corpo o in bocca, nei casi dove per esempio è coinvolto il crimine organizzato… qualche anno fa, se qualcuno rivelava delle informazioni su qualcun altro lo chiamavano ‘topo’ o ‘informatore’. Ci sono stati molti casi nel crimine organizzato dove hanno messo un uccello in bocca alla vittima. Ho avuto casi come questo, perciò è possibile. Non conosco però altri casi dove ho visto un uccello vicino al cadavere e dove hanno detto che un frammento di proiettile ha ucciso il volatile. Questo è un caso molto insolito, e ne ho visti tanti”.

Di diversa opinione però è George Navarro, un ex capo della polizia di Miami che aveva indagato su quell’omicidio e su quel piccione. “Non mi era mai capitato di far fare un’autopsia su un volatile. Credo fosse la prima volta per il medico legale che l’ha eseguita. È stato in grado di recuperare parte di un proiettile che si è rivelato lo stesso che aveva ucciso Versace”. La polizia di Miami smentisce che quel piccione potesse avere un qualsiasi significato.

Torniamo adesso a Chico Forti: secondo quanto denuncia il nostro connazionale, durante il secondo interrogatorio a cui fu sottoposto dopo l’omicidio di Dale Pike gli agenti avrebbero strappato le foto dei suoi figli davanti a lui dicendogli ‘Non li rivedrai mai più, così impari a parlare male di noi’. “Non c’è mai stato dubbio nella mia mente che si riferissero proprio a quelle che erano le mie critiche”, dice Chico. Anche se il documentario non fu mai trasmesso in America, “dubito molto che i diretti interessati non ne fossero a conoscenza, non ne ho la certezza ma sono convinto che loro ne fossero a conoscenza”, continua Chico. “Sono stato ospite anche a vari programmi d’inchiesta televisivi conosciuti in America. E lì io già mettevo in dubbio la versione della polizia di Miami”.

A sostenere la tesi che la polizia fosse a conoscenza di quel documentario esistono vari articoli usciti sui giornali dell’epoca. “I giornali americani hanno pubblicato la versione della polizia e non è una versione sulla quale questo produttore italiano è d’accordo”, ricorda Chico citando i giornali che parlarono del suo documentario. “Sono diventato immediatamente un personaggio scomodo”. Per promuovere il suo lavoro Chico Forti andrò anche alla televisione francese.

Pochi mesi dopo quell’intervista Chico Forti sarà processato per l’omicidio di Dale Pike. Su quella casa galleggiante non salì mai più nessuno, perché cinque mesi dopo il documentario del nostro connazionale a causa di un danno strutturale quella casa affonderà

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