“È pericoloso, siamo a corto di ossigeno”. Nardi e la sfida, finora mai riuscita
Si fa sempre più dura la spedizione di Daniele Nardi e già alcuni suoi compagni di avventura fanno molta fatica. Dal Nanga Parbat, a 8.126 metri, in Pakistan, arriva la seconda puntata del diario e le sue foto, entrambi in esclusiva per Le Iene. Lo scalatore sta tentando un'impresa da cui nessuno finora è tornato: scalare il Mummery, uno sperone di ghiaccio di mille metri
- L'INTERVISTA A DANIELE NARDI ANDATA IN ONDA
Continua la spedizione di Daniele Nardi tra i ghiacci del Pakistan. L’alpinista sta tentando una scalata mai riuscita prima: arrivare in cima al Mummery, uno sperone di mille metri, sul Nanga Parbat (8.126 metri). Nella prima puntata del suo diario, lo scalatore ci ha raccontato in prima persona l'arrivo al campo 3 (5.700 metri) e di una resa per ripartire.
Ieri notte la spedizione si è riunita al campo base, dopo tre giorni di cammino durissimo, con zaini di trenta chili sulle spalle, per finire di allestire i campi alti e poterci bivaccare. A campo tre, 5.700 metri, Daniele ha dormito con Rahmat nella tenda montata dentro un crepaccio, sulla destra dell’ingresso per lo sperone Mummery. Tom e Karim in un’altra tenda da due, proprio di fronte loro.
La posizione è abbastanza protetta rispetto alle slavine che scendono dal canale, ma è anche una specie di buca da golf, perché tutta la neve dello sperone scivola e si deposita proprio dentro il crepaccio.
Daniele non riesce a prendere sonno, intorno alle due di notte Rahmat gli dice: “Non respiro, non respiro”.
Anche lui ha il fiato corto e fatica a incamerare aria, ma pensa sia per l’acclimatazione non ancora perfetta. Poi guarda le pareti della tenda, sembra che stiano per collassare, schiacciate da un peso esterno. Quando apre la zip, si vede davanti un muro di neve. La tenda è completamente sommersa e loro sono a corto di ossigeno.
Daniele comincia a tirare pugni al muro di neve per cercare di aprirsi un varco, riesce a fare un buco e a infilarcisi. Una volta fuori prende una pala e comincia a scavare per liberare la tenda. Non gli ci vuole molto per capire che da solo non ce la può fare, così sveglia Karim e Tom. Ci impiegano un’ora buona per ripulire la piazzola. Rientrano nei sacchi a pelo intorno alle 5.
Alle 7, quando si svegliano, la neve è caduta di nuovo e la situazione è come quella della notte precedente. Di nuovo, tutti e quattro spalano via i cumuli per far respirare la tenda.
“Campo tre è pericoloso e nessuno ci vuole dormire”, mi dice Daniele dal satellitare.
“La mattina Karim e Rahmat erano esausti e sono scesi al campo base. Dopo averli visti sparire dietro la cresta del crepaccio, io e Tom non ce l’abbiamo fatta. Eravamo lì, di nuovo sotto lo sperone, non potevamo andarcene senza tentarlo”.
Mi racconta che sono saliti moto veloci, Tom stava davanti, andava per primo e fissava le corde.
“Si è divertito come un matto. Soffre quando si tratta di camminare, andare cauti, studiare la montagna, ma quando annusa una parete nuova si scatena”.
Hanno risalito il Mummery fino a 6.200 metri e lì hanno avuto una brutta sorpresa. Daniele si aspettava di poter montare la tenda sullo stesso pezzo di ghiaccio dove l’aveva piazzata con Elizabeth Revol in un tentativo precedente, ma in quel punto ora non c’è più niente, nessuna sporgenza a cui potersi ancorare.
“Quando sei sul Mummery non esiste il posto giusto dove mettere la tenda. Bisogna rassegnarsi a stare sulle pietre, oppure a picco sul vuoto. Devi avere il coraggio di romperti le ossa sui sassi, per poi ripartire il giorno dopo e salire ancora”. Invece, al limite del congelamento, esausti dopo una notte insonne, con un vento fortissimo che gli soffiava sulla faccia, hanno deciso di scendere. Hanno fatto un’unica tirata da 6.200 a 4.100, sono arrivati al campo base di notte, con il buio che era calato da un pezzo.
“Un po’ mi sono pentito”, mi dice la mattina dal campo base. “Stamattina il vento era ancora fortissimo, ma ora è calato e c’è un sole pazzesco. Se fossimo rimasti a dormire a campo tre, ora saremmo sul Mummery, ancora più in alto”.
Poi fa una pausa, ci ripensa: “Ma il Nanga va preso con calma, te lo porti a casa con la pazienza, per sfinimento”. È il suo quinto inverno lassù, conosce bene la montagna. “Non mi stupisco che la ‘regina’ si faccia desiderare proprio adesso che volevamo mordere”.
Le previsioni meteo li costringeranno al campo base per una settimana, a partire dal 19 si prevede una perturbazione che potrebbe durare 6 o 7 giorni. Un tempo che farà bene al riposo e al recupero di tutti quanti. Daniele non molla: “Magari partiamo prima che la perturbazione sia passata e anticipiamo il bel tempo, così da farci trovare pronti sullo sperone per salire più in alto”.
Con la testa è già avanti.
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