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Omicidio Vannini: le telefonate intercettate dei Ciontoli mai entrate nel processo | VIDEO

Giulio Golia e Francesca Di Stefano tornano a parlarci dell’omicidio di Marco Vannini attraverso le intercettazioni telefoniche della famiglia Ciontoli. Questi audio potrebbero aiutare a capire che cosa è successo davvero, ma non sono mai entrati nel processo

“Buongiorno, senta avrei bisogno di fare un telegramma di condoglianze alla famiglia Vannini”. Questa è una delle tante telefonate intercettate nei giorni successivi all’omicidio di Marco. Si tratta di chiamate che riguardano la famiglia Ciontoli mai entrate nel processo per la morte di Marco Vannini, il ragazzo appena 20enne ucciso nel 2015 nella loro villetta a Ladispoli.

Antonio Ciontoli è stato condannato in secondo grado a 5 anni di carcere per omicidio colposo, la condanna per la moglie e i figli Federico e Martina è di 3 anni. Giulio Golia e Francesca Di Stefano tornano, raccontandoci nuove clamorose intercettazioni, sul caso che più ha fatto indignare l’Italia negli ultimi tempi.

In attesa della sentenza di Cassazione fissata per il prossimo 7 febbraio, i dubbi rimasti sono ancora tanti ed emergono ancora di più incrociando le prime dichiarazioni, le intercettazioni in caserma nelle ore successive e quelle telefoniche effettuate nei giorni dopo quella maledetta notte tra il 17 maggio e il 18 maggio 2015.

“CERCHIAMO DI NON FAR SAPERE NIENTE, PAPÀ PERDE IL POSTO”

È il 19 maggio 2015, due giorni dopo la tragedia, alle 11.43 Alessandro, cugino di Marco, chiama Martina Ciontoli: “È stato un incidente Alessandro ma ti pare che mio padre farebbe una cosa del genere? Lei gli rivela che inizialmente pensavamo fosse un attacco di panico”, risponde Martina, fidanzata di Marco. “Il fatto che sia stato un incidente lo pensiamo tutti”, ribadisce Alessandro. “Però è tutto il dopo… Cioè il dopo cazzo. È stato lasciato più di un’ora lì. Che cazzo, Martì…”. Il ragazzo rincara la dose: “La prima cosa che ha detto tuo fratello appena arrivato al pronto soccorso è stato: ’Papà perde il posto di lavoro cerchiamo di non far sapere niente’. Cioè… Martì, non puoi dire una cosa del genere”.

Proprio la paura di perdere il posto di lavoro come sottoufficiale della marina distaccato ai servizi segreti, spinge Antonio Ciontoli a mentire. Nei primi momenti ha parlato di buco causato da un pettine e non di un colpo partito da una delle sue pistole.

Alessandro rimprovera Martina: “Però cazzo Martì, cioè te ci stavi te lì. Perché si è aspettato così tanto invece di intervenire subito? Perché avete detto che si era fatto male con un pettine appuntito?”. Lei si difende: “Non si è pensato solo a quello, Alessà… Non ci abbiamo capito niente in quella situazione. Alessà, ma che vuoi che ti dica io? E quella la cosa… io…”.

A quel punto Alessandro ribadisce un pensiero di molti: “No, no Martì… Tuo padre è sempre tuo padre. Però Marti se tu sei innamorata di Marco, po*** *** due calci in culo, Martì, glieli davo, ti dico proprio la verità perché senti così non si fa. Anche tu potevi dire a tutti: ma che cazzo state facendo? Martì è il dopo che è una cosa devastante, capito?”

“TU SAI TUTTE LE COSE E NON LE VUOI DIRE”

Il giorno dopo, il 20 maggio 2015, alle 11.51, Alessandro richiama Martina. “Tu stavi lì, c’eri”, le rimprovera. Non sei stata te, però lì c’eri quand’è successa sta cosa. Perché non hai chiamato d’iniziativa tua, una cazzo di ambulanza? Tu, tuo fratello, la ragazza di tuo fratello, tua madre. In cinque eravate, Martì, vi si è spenta la testa a tutti e cinque? Ieri mi hai detto di aver capito che il proiettile era partito solo dopo che Marco si è sentito male. Ma cazzo il botto non lo avete sentito?”. Lei risponde: “Non ce la faccio Alessà…”. A questo punto Alessandro rincara la dose: “Bella mia tu le cose le sai tutte quante bene e stai cercando di non dire niente”.

“MI DEVI DIFENDERE TU, IO NON POSSO”

Passano i giorni e i dubbi sorgono anche ad alcuni degli amici più vicini ai Ciontoli perché anche loro non si spiegano dei dettagli. È il 18 maggio 2015, sono le 22.30 quando Federico è al telefono con un suo amico a cui racconta che cosa sarebbe successo: “Lui inizialmente era cosciente, pensavamo fosse un attacco di panico. Non pensavamo che la pistola era carica, capito? Non eravamo consapevoli che era partito il colpo”.

Il 21 maggio giorno del funerale di Marco si sentono di nuovo. Sono le 10.35, quando Federico gli dice: “Se senti qualche cosa mi devi difendere tu perché io adesso non lo posso fare”. Di tutta risposta, l’amico gli dice: “Mi devi spiegare bene la dinamica. Sei sicuro che è andata com’è…”. Evidentemente non è così convinto perché due giorni dopo tornano sull’argomento: “Non mi avevi detto del pettine. Perché avete detto sta cazzata?”. Federico gli risponde che il padre “non pensava fosse grave la cosa…. Il buco non si vedeva, non ti posso neanche dire tutte le cose che poi sono state dette anche all’avvocato”

“PISTOLE SUL DIVANO”

Passa qualche ora ed è Viola Giorgini (fidanzata di Federico Ciontoli, unica dei presenti la notte della morte di Marco a essere stata assolta) a ricevere una telefonata. Da queste intercettazioni emergono dettagli che potrebbero ricostruire i movimenti delle pistole. Antonio Ciontoli di solito le teneva “nella cassaforte” come ha precisato la moglie durante un interrogatorio. Nel giorno della tragedia verrebbero spostate dalla cassaforte al bagno, dove è presente una scarpiera: “Avevo un’esercitazione di tiro da lì a poco e volevo vedere in quali condizioni sono”, ha dichiarato Ciontoli in un’udienza. Deciderebbe di toglierle da lì solo a tarda sera mentre Marco è nudo sotto la doccia: “Mi sono ricordato delle armi. Ho sentito che in bagno c’erano Marco e Martina. Per evitare che le potessero prendere sono entrato e le ho prese. Martina mi ha anticipato nell’uscire mentre stavo uscendo Marco ha riconosciuto il marsupio e mi ha chiesto di vederle”.

Sono le 17.25 del 22 maggio 2015, quando Viola parla con una sua amica al telefono: “Marco si stava facendo la doccia. Tonino è entrato in bagno prima di andare a letto si prepara i vestiti e se li attacca dietro alla porta del bagno. Così si lava e si veste in bagno per non svegliare la moglie”, spiega Viola. “Mentre attaccava i vestiti ha fatto altrettanto con il marsupio dove c’erano queste pistole perché sarebbe dovuto andare a sparare al poligono il giorno dopo…”. Ma questa presunta esercitazione di tiro non sarebbe stata prevista. I dubbi aumentano perché Viola racconta un altro dettaglio: “Le pistole erano scariche, lui ha detto che le aveva lasciate tutto il giorno sul divano. Ti rendi conto? Per lasciarle tutto il giorno sul divano, il padre era straconvinto che non ci fosse niente”.

Una ricostruzione che non coinciderebbe con le dichiarazioni di Ciontoli. Ma il movimento delle pistole anche dopo la tragedia sarebbe davvero poco chiaro. “Prendo queste armi perché mio padre mi dice di allontanarle, quando sono sceso giù il mio intento era quello di metterle in sicurezza. Non so se è stata ritrovata la polvere da sparo sul divano. Io le ho portate lì”, dirà poi nell’ottobre 2015 Federico Ciontoli durante un interrogatorio. Ma le pistole verranno ritrovate sotto il letto di Federico, dove Antonio dichiara di averle messe.

Nella telefonata tra Viola e la sua amica emerge un altro dettaglio che da sempre ha fatto sorgere dubbi in tutti. I Ciontoli hanno detto di non essersi accorti che fosse partito un colpo, nonostante il foro di un centimetro nel braccio di Marco. “Il colpo gli è entrato nel braccio destro fino all’anca sinistra”, sostiene Viola. “Noi abbiamo controllato se c’era un buco, perché se alzi il braccio ci doveva essere il buco nel torace, no? Non c’era.” Si erano accorti del foro di entrata e cercavano quello di uscita. Un dettaglio testimoniato in aula anche da Federico: “Mio padre alzò il braccio a Marco per vedere se il colpo era passato. Cercò il foro di uscita”. Ma loro diranno di credere a un colpo d’aria.

“I SUOI DIRIGENTI SI SONO MOSSI…”

Sono davvero tante le domande senza risposta e ascoltando queste intercettazioni non fanno altro che aumentare perché per alcune non c’è proprio spiegazione. Come succede dopo aver sentito la telefonata del 19 maggio, due giorni dopo la tragedia, alle 22.42 Peppe, zio acquisito di Martina e Federico, chiama Viola ma a rispondere al cellulare è Federico. Si intuisce che il ragazzo la notte della morte di Marco ha dormito a casa della fidanzata e che gli avrebbe dato delle indicazioni. “In salone ci sta quello spruzzo là… Quel coso che spruzza il profumo. Eh, se lo spegnete, perché quello nella notte richiama i ricordi. Papà e Martina dormono là col fatto che quando spruzza il profumo, ricorda”. Che ricordi può far venire se lo sparo è avvenuto nel bagno?

Il 23 maggio 2015 lo zio Peppe fa un’altra telefonata, questa volta a suo amico. “Ho avuto conferma che comunque il reparto suo, i suoi dirigenti si sono… Io non so se tu pure hai avuto riscontri, insomma… che la persona si è mossa in primis”. Sembra proprio che parlino dei colleghi di Ciontoli: quale reparto si è attivato? E chi si è mosso per primo? 

Guarda qui sotto tutti gli articoli e i servizi che abbiamo dedicato all’omicidio di Marco Vannini tra cui lo speciale “Bugie e verità”.

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