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Vicesindaco della bergamasca: “Mio padre morto di coronavirus, per 9 giorni senza tampone” | VIDEO

Il vicesindaco di Valbondione (Bergamo) racconta il mancato test per il papà, dimesso dopo 9 giorni, ricoverato dopo 5 ore e trovato solo allora positivo. E denuncia: “Pressioni di grandi imprenditori per evitare la zona rossa tra Alzano e Nembo: ha vinto il fattore economico su quello umano”

Parla di questo “maledetto virus” e all’inizio si dice al massimo “innervosito” in video, Walter Semperboni, mentre denuncia “un fatto grave”. Era il 21 febbraio, il giorno in cui l’epidemia di coronavirus stava esplodendo in tutta Italia: “A mio padre di 80 anni appena ricoverato per polmonite nessuno ha pensato di fare un tampone per nove lunghi giorni. Non solo, il 1° marzo è stato pure dimesso, salvo poi dover tornare d’urgenza dopo 5 ore in ospedale. Dopo 16 ore in pronto soccorso si scopre che ha il coronavirus, di cui è morto poi dopo 13 giorni di agonia”.

Walter Semperboni racconta la storia di papà Antonio Luigi con la compostezza dell’uomo di montagna, aggiunta al rispetto per il suo ruolo istituzionale di vicesindaco di Valbondione, in mezzo alla Val Seriana e a quelle terre del Bergamasco devastate dalla pandemia.

“Finora né a me né a mia madre è stato fatto il tampone, come a tutti i familiari delle vittime e qui nella Val Seriana purtroppo ne contiamo a centinaia”, ci dice al telefono tra commozione e rabbia. “Le nostre valli sono piene di gente operosa e rispettosa delle istituzioni che da queste si è sentita derisa e abbandonata. Si è parlato e si parla ancora di una zona rossa qui tra Alzano e Nembro: non è stata istituita per le pressioni di grandi imprenditori e di grandi marchi. Si è deciso di prediligere il fattore economico a quello umano, mandando a morte sicura i nostri anziani, la nostra storia, che qualcuno continua a definire ‘solo vecchi’”.

“Chiedo con un grido rispetto per noi montanari, chiedo che i nostri ospedali vengano potenziati con strumenti adatti, qui mancano le mascherine, manca l’ossigeno”. Ora è la commozione a vincere: “Perché altri figli non debbano sentire l’ultimo appello telefonico del padre che racconta come è stato parcheggiato in un letto d’ospedale e lasciato lì a morire. Senza nemmeno poi il diritto a un ultimo abbraccio, a un ultimo saluto, a una degna sepoltura”.

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