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Coronavirus, i vaccini sviluppati anche con soldi pubblici ma i brevetti nelle mani delle case farmaceutiche

I vaccini contro il coronavirus sono stati sviluppati anche grazie a ingenti finanziamenti pubblici. Eppure sembra che negli accordi non sia stata prevista nessuna clausola sull’uso dei brevetti, lasciati quindi nelle mani delle case farmaceutiche. Le aziende private così possono ottenere profitti da capogiro, mentre gli stati più poveri del mondo non si possono permettere di comprare i vaccini

Miliardi di persone rischiano di non poter comprare i vaccini mentre alcune case farmaceutiche ottengono profitti da decine di miliardi di dollari. Com’è possibile un simile cortocircuito, mentre la pandemia più grave degli ultimi cento anni sferza il pianeta lasciando sul selciato milioni di morti?

Alcune case farmaceutiche, nonostante abbiano ricevuto ingenti soldi pubblici per sviluppare i vaccini, hanno deciso di fare profitto sul vaccino contro il coronavirus e non condividere il brevetto. E così la parte più povera del pianeta non può acquistare le dosi necessarie mentre i paesi ricchi si fanno la guerra economica per strappare più forniture possibili, molte più di quelle effettivamente necessarie

Bisogna innanzitutto sgombrare il campo da dubbi: le case farmaceutiche, aziende private che hanno investito moltissimo denaro nello sviluppo del vaccino contro il coronavirus, hanno il diritto di fare profitto sulla vendita dei propri prodotti. Ma sono in molti in questo periodo ad essersi chiesti: è moralmente accettabile che le aziende, sovvenzionate con denaro pubblico nello sviluppo del vaccino per il coronavirus, e in una condizione pandemica così grave in tutto il mondo, facciano profitto su questo specifico prodotto?

A farsi questa domanda è stato per ultimo il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, che in un’intervista a Repubblica ha detto: “Non è pensabile che un oligopolio di aziende private detenga il potere inattaccabile di decidere chi, quando e dove potrà vaccinarsi contro il Covid: devono cedere i brevetti che invece tengono tuttora stretti”.

La polemica a cui si riferisce Stigltiz è nota: mentre i paesi ricchi hanno acquistato quasi interamente le dosi di vaccino inizialmente disponibili, molti a medio e basso reddito sono rimaste a bocca asciutta. Perché? Semplicemente perché non possono permettersi di “fare a gara” con realtà molto ricche come l’Unione europea o gli Stati Uniti.

Una situazione che era già stata duramente criticata dall’Oms: “Il mondo è sull’orlo di un catastrofico fallimento morale, e il prezzo di questo fallimento sarà pagato con le vite dei cittadini più poveri del mondo. Non è giusto che i giovani in salute nei paesi ricchi siano vaccinati prima dei medici e degli anziani dei paesi poveri”, ha dichiarato il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom.

Oxfam e da Amnesty International a dicembre avevano fotografato la situazione in modo impressionante: il 90% degli abitanti di 67 paesi a reddito medio o basso non avranno accesso al vaccino contro il coronavirus nel 2021. Dati confermati recentemente dall’Ocse: l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ha certificato che gli abitanti dei paesi ad alto reddito saranno tutti vaccinati entro la prima metà del 2022, mentre per quelli più poveri l’immunità di gregge non arriverà prima del 2024.

Un ritardo di un anno e mezzo che realisticamente costerà milioni di morti in tutto il mondo. Un ritardo che dipende - non completamente, ma in parte - dal fatto che i vaccini sviluppati dalle case farmaceutiche contro il coronavirus siano protetti da brevetti e dunque non accessibili per il libero sviluppo di massa. Perché le istituzioni pubbliche hanno commesso un gravissimo errore: al momento di fornire i fondi per lo sviluppo del vaccino, pare non si siano assicurate che i brevetti fossero quantomeno disponibili ai laboratori pubblici per la produzione nelle fasi più calde della pandemia.

E questo nonostante alle case farmaceutiche sia arrivato un vero e proprio fiume di soldi. Secondo i dati pubblicati dalla BBC alla fine del 2020, le istituzioni pubbliche hanno fornito 9,7 miliardi di euro per sviluppare i vaccini. Le organizzazioni no profit hanno aggiunto ulteriori 1,7 miliardi. La maggior parte dei costi, comunque, sono stati sostenuti dalle case farmaceutiche stesse o da altri investitori privati. 

A ogni modo alcune di queste aziende hanno deciso di vendere il proprio prodotto al prezzo di produzione, senza ricercare un guadagno: è il caso di AstraZeneca - che lo ha confermato fino al miglioramento della situazione pandemica - e di Johnson&Johnson, che ha calmierato il prezzo. Ma parliamo di decisioni lasciate alle singole case farmaceutiche, su cui le istituzioni pubbliche hanno colpevolmente mancato nel garantire ai loro cittadini la soluzione migliore possibile.

Infatti non tutte hanno fatto la stessa scelta: Pfizer ha annunciato una settimana fa di prevedere ricavi di 15 miliardi di dollari dalla vendita di circa 2 miliardi di dose di vaccini. Secondo quanto riporta Il Fatto Quotidiano, Pfizer ha ricevuto mezzo miliardo di euro di fondi pubblici per lo sviluppo del vaccino. Con un prezzo di vendita stimato da BBC tra i 18 e i 19 dollari a dose, molti paesi poveri del mondo non si possono permettere di acquistarli. 

La stessa scelta è stata fatta anche da Moderna, le cui fiale costano (sempre secondo le stime della BBC) tra i 25 e i 37 dollari a seconda dell’accordo di acquisto. L’azienda ha ricevuto oltre due miliardi di euro di fondi pubblici per sviluppare il vaccino. Moderna però, a differenza di Pfizer, non ha annunciato quanto prevede di guadagnare con la vendita del vaccino.

Insomma, le istituzioni hanno deciso di lasciare tutta la partita nelle mani delle case farmaceutiche. E i risultati si sono visti nelle ultime settimane, con ritardi su ritardi nelle forniture e l’apparente impotenza dell’Unione europea nel far rispettare gli accordi. Accordi che, è bene ricordarlo, sono secretati: non sappiamo nemmeno con certezza quanto stiamo pagando per ogni singola dose di vaccino.

Ci sono stati, per la verità, alcuni recenti sviluppi per cercare di superare questo collo di bottiglia: la società francese Sanofi, di cui lo stato detiene una quota di minoranza vicino al 16%, ha annunciato un accordo con Pfizer e BioNTech per produrre 125 milioni di dosi di vaccino destinate all’Unione europea. Un importante passo avanti, anche se ristretto all’accordo tra due case farmaceutiche private sulla produzione di un bene che verrà comunque venduto alla stessa cifra concordata nel contratto d’acquisto dell’Unione europea.

Così, mentre l’Occidente si interroga sulle scelte compiute, c’è una larga fetta del pianeta che si deve affidare completamente a Covax per aver accesso al vaccino contro il coronavirus. Covax è un programma internazionale cogestito dall’Organizzazione mondiale della sanità per garantire lo sviluppo e la distribuzione del vaccino nei paesi più poveri del mondo. 

Entro la fine di quest’anno - quando probabilmente tutti gli stati ad alto reddito avranno raggiunto l’immunità di gregge - Covax conta di fornire dosi sufficienti a vaccinare il 20% dei poveri del mondo. Una cifra assolutamente insufficiente a proteggere miliardi di vite umane, costrette nella morsa del coronavirus dalla miopia delle istituzioni pubbliche del mondo.

Non è scontato che una temporanea sospensione dei brevetti risolverebbe tutti i problemi nella distribuzione dei vaccini: servono infatti stabilimenti attrezzati per produrli, risorse economiche e materiali adeguati. Inoltre non bisogna sottovalutare che le case farmaceutiche hanno comunque investito miliardi di dollari nello sviluppo dei vaccini, e privarle della possibilità quantomeno di rientrare delle spese sarebbe disastroso nell’ottica di futuri investimenti per sconfiggere le altre malattie. Molte voci si sono alzate in opposizione a quest’idea, dall’italiana Federfarma fino a varie testate giornalistiche.

Se però questo potesse aiutare, l’ipotesi andrebbe presa in considerazione. Anche perché la risoluzione 58.5 dell’organo legislativo dell’Oms permette ai governi di utilizzare un brevetto anche senza il consenso del proprietario in caso di pandemia. Cioè l’Italia domani, se volesse, potrebbe in teoria iniziare a produrre in proprio i vaccini senza doverne rendere conto alle case farmaceutiche. Sono passati due mesi dall’inizio della campagna vaccinale e nonostante i ritardi nelle forniture e l’impossibilità per i paesi poveri di acquistare le dosi, nessuno lo ha ancora fatto.

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