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Omicidio Vannini, l'intercettazione di Viola: “I genitori di Marco non dovevano andare in tv”

A poche ore dall’omicidio di Marco Vannini, Viola Giorgini racconta al telefono quanto accaduto nella villetta di Antonio Ciontoli a Ladispoli. Durante la conversazione intercettata dagli inquirenti parla contro i genitori del ragazzo morto e soprattutto del movimento delle armi in casa. Nello speciale di Giulio Golia e Francesca Di Stefano abbiamo provato a ricostruire le bugie e le verità di questa vicenda

“Se amavano così tanto il figlio non sarebbero mai andati in televisione”. Sono le parole di Viola Giorgini contro i genitori di Marco Vannini, ucciso con un colpo di pistola a 20 anni la sera del 17 maggio 2015 a Ladispoli. Dei presenti durante l’omicidio, Viola è l’unica a essere stata assolta in secondo grado da ogni reato. La condanna per Antonio Ciontoli è stata di 5 anni di reclusione per omicidio colposo mentre è di 3 per il figlio Federico, la moglie e la fidanzata di Marco.  

A poche ore dal funerale del ragazzo, Viola, fidanzata con Federico, è al telefono con un’amica e non sa di essere intercettata dagli inquirenti: “È morto tuo figlio e decidi di andare in televisione a fare un’intervista. Sono cose che io non avrei mai fatto. Sono le persone che gli stanno intorno che li spingono a fare questo”, dice riferendosi a Marina e Valerio Vannini che da 4 anni chiedono giustizia per la morte del figlio.

Una parte di questi audio è stata resa nota da “Quarto Grado”. Durante la telefonata intercettata, la ragazza ricostruisce come testimone diretta i movimenti delle pistole di Antonio Ciontoli. Un nodo che noi de Le Iene abbiamo provato a sciogliere nella quinta parte dello “speciale: bugie e verità” di Giulio Golia e Francesca Di Stefano che vi riproponiamo qui sopra.

Al momento della tragedia, infatti, il porto d’armi di Antonio Ciontoli era scaduto da due anni.  Sull’arma da cui è partito il colpo che ha ucciso Marco, Antonio afferma di non essersi fatto spiegare come funzionasse al momento dell’acquisto. “Non ho mai fatto alcun corso sulle armi. Il funzionamento dell’arma l’ho avuto solo nel 2007 quando sono andato a sparare e un istruttore mi ha fatto vedere”. Ma perché quel giorno Antonio ha tirato fuori le armi? “Visto che di lì a poco c’era un’altra esercitazione di tiro. E quindi la mattina la presi perché dopo avevo intenzione di dargli una pulita, in quel momento mi ha chiamato mia moglie e, niente, io praticamente le ho messe nella scarpiera in bagno”, racconta Ciontoli. Un dettaglio che non è mai stato confermato. Lui avrebbe dovuto sottoporsi a un’esercitazione nei sei mesi successivi alla tragedia. Ma il giorno preciso non era ancora stato fissato.

Nella telefonata che vi abbiamo fatto sentire nel nostro speciale Viola dice chiaramente che Antonio era convinto che le armi fossero scariche, ma anche che le avesse lasciate tutto il giorno sul divano. Questa intercettazione però non è mai entrata nel processo. E anche la fine che le pistole fanno dopo lo sparo sembra poco chiara. “Prendo queste armi perché mio padre mi dice di allontanarle, quando sono sceso giù il mio intento era quello di metterle in sicurezza. Non so se è stata ritrovata la polvere da sparo sul divano, però io le ho portate lì”, afferma Federico nell’interrogatorio dell’ottobre 2015. Perché Federico specifica il dettaglio del divano?

Le pistole verranno poi ritrovate dai carabinieri sotto il letto del ragazzo, che il giorno della tragedia dichiara di non avercele messe lui. Mentre Antonio dichiara di averle viste sul divano e averle portate nel cassettone del letto di Federico. Dalle intercettazioni ambientali in caserma del 18 maggio 2015 sembra che sia Federico a dire ad Antonio cosa riferire in merito al luogo di queste armi. Non solo. Federico concorderebbe la versione anche con Viola. E proprio lei, a un certo punto, riferendo a Federico la versione data, dice: “così ti ho parato un po’ il culo anche a te”

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