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Silvia Romano, la cooperante rapita in Kenya, "era viva a Natale”

È quanto emerge dal vertice tra le autorità giudiziarie e investigative italiane e quelle keniote. A riportare questa circostanza sono stati due cittadini kenioti arrestati il 26 dicembre 2018 con l’accusa di essere gli esecutori del sequestro della cooperante milanese. Una vicenda di cui ci siamo già occupati su Iene.it pubblicando importanti rivelazioni sul caso

Silvia Romano, la 23enne italiana rapita in Kenya il 20 novembre scorso, sarebbe stata viva almeno fino a Natale. È quanto emerso nei giorni scorsi dal vertice che si è tenuto a Roma tra le autorità giudiziarie e investigative italiane e quelle keniote. Due cittadini kenioti, arrestati il 26 dicembre 2018 con l’accusa di essere gli esecutori del sequestro della cooperante milanese, hanno confermato che la ragazza fosse in vita almeno fino al giorno di Natale. I due, che saranno processati il 29 e il 30 luglio 2019 a Nairobi, hanno inoltre riferito che Silvia sarebbe poi stata ceduta a un’altra banda.

Della vicenda della volontaria italiana ci siamo occupati in due articoli pubblicati su Iene.it. In seguito alle rivelazioni emerse dalla nostra inchiesta, Gianluca Ferrara, capogruppo della commissione Esteri per il M5S al Senato, ha presentato un’interrogazione parlamentare sul caso e fatto un intervento in aula, che potete vedere nel video qui sotto.

Nel primo dei nostri servizi sul rapimento di Silvia Romano vi abbiamo raccontato della pista di una denuncia per pedofilia fatta da Silvia 9 giorni prima di essere rapita (clicca qui per tutto l’articolo).

Abbiamo intervistato in esclusiva uno dei due volontari che l’11 novembre 2018, nove giorni prima del rapimento, sarebbe andato con Silvia alla polizia di Malindi per presentare la denuncia per pedofilia contro un pastore anglicano, un uomo chiamato “father”. E questo volontario ci ha raccontato cosa lui, Silvia e un’altra ragazza avrebbero visto a Chakama, dove c’era la sede di Africa Milele. 

“Me ne sono accorto subito appena arrivato, attorno al 7-8 novembre. Attirava i bambini con le classiche cose: caramelle, monetine... C’erano palpeggiamenti, strusciamenti, cose assolutamente non consone per nessuno, soprattutto per un prete. All’inizio me ne sono accorto solo io, e poi l’ho detto a Silvia e all’altra volontaria, e siamo stati tutti più attenti. Abbiamo visto le ragazzine che entravano nella stanza di quest’uomo e ci stavano pochissimo, due, tre, cinque minuti. Non so fino a che punto arrivasse, però atti pedofili c’erano eccome. Lui non era stupido, aveva capito che ce ne eravamo accorti. Un giorno gli ho strappato una bambina dalle mani e in quel momento con me c’era anche Silvia”. 

Nella seconda puntata della nostra inchiesta abbiamo raccontato della presenza di un presunto sciacallo che da mesi starebbe cercando di ottenere dei soldi presentandosi come rapitore di Silvia Romano (clicca qui per tutto l’articolo). “C’è uno sciacallo che da sei mesi manda email con una richiesta di riscatto per la liberazione di Silvia Romano”, ci ha raccontato Lilian Sora, la presidentessa di Africa Milele, l’onlus per cui lavorava Silvia Romano. “Penso che dietro questa persona che scrive ci sia in realtà un italiano”. 

Di quest’uomo aveva parlato anche Tiziana Beltrami, referente logistica di fatto di Africa Milele, che in un audio messaggio su WhatsApp aveva raccontato: “C’è stata una richiesta di riscatto il 21 novembre, il giorno dopo il rapimento di Silvia, in cui hanno chiesto 20 bitcoin del valore di quasi 80mila euro”. 

Tiziana Beltrami fa riferimento a una persona che si presenta col nome di Yusuf Aden, lo stesso di una delle quattordici persone indagate dalla polizia keniota due giorni dopo il rapimento di Silvia Romano. Dato per latitante, si è scoperto in seguito che il vero Yusuf Aden era morto almeno sei mesi prima del 20 novembre. 

E dietro queste due email e quelle che continuano ad arrivare, spiega Lilian Sora, potrebbe esserci un italiano. 

“Da sei mesi questa persona manda email. Io ci ho anche parlato, mi ha chiamato una mattina da un numero americano dello stato dell’Illinois, penso uno di quei numeri che si comprano su internet. Si è presentato come Yusuf Aden: è una persona non giovane, direi di mezza età. Dal suo inglese e dal modo di parlare credo che sia un keniano, però noi pensiamo che dietro di lui ci sia un italiano. Nelle email che continua a scrivere infatti c’è uno studio attento di cose che accadono in Italia: le email arrivano a giornalisti italiani che si stanno occupando in qualche modo della vicenda di Silvia... Ha addirittura scritto all'email dell’associazione che ha organizzato in Italia la fiaccolata per lei”.

L’uomo, racconta ancora la Sora, “scrive da un'email fornita da un provider svizzero, che non consente di risalire all’indirizzo Ip di provenienza e dunque di essere localizzato. Un provider altamente criptato, che neanche i i Ros dei Carabinieri sarebbero riusciti a identificare”.

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