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Pfas, processo da record per la contaminazione delle acque | VIDEO

L’udienza preliminare sulla contaminazione dell’acqua da sostanze perfluoroalchiliche che interessa le province di Vicenza, Verona e Padova si terrà l’11 novembre. I numeri sono da record: 13 imputati, decine di richieste di costituzione di parte civile in rappresentanza di 200mila abitanti della zona. Una situazione di cui ci siamo occupati già nel 2016 con la nostra Nadia Toffa

Un processo da record quello sulla contaminazione dell'acqua da Pfas in Veneto. Lunedì 21 ottobre doveva tenersi l’udienza preliminare presso il tribunale di Vicenza, che è stata però rimandata all’11 novembre a causa dell'astensione dei legali penalisti. Il processo riguarda la contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche che interessa le province di Vicenza, Verona e Padova. Secondo la Procura l’inquinamento sarebbe stato causato in maniera dolosa dall’azienda Miteni.

Un problema che noi de Le Iene abbiamo denunciato già nel 2016 con Nadia Toffa. Vi abbiamo raccontato la situazione dell’acqua nelle aree attorno alla Miteni, ditta che produce Pfas. Si tratta di pericolose sostanze perfluoroalchiliche usate come impermeabilizzanti per pentole, tessuti, scarpe, cartoni per le pizze. La Miteni era stata costruita cinquanta anni fa proprio sopra la falda acquifera che serve un’area compresa tra le tre province di Vicenza, Verona e Padova.

Il processo che sta per iniziare vede numeri da record: 13 imputati, decine di richieste di costituzione di parte civile tra enti pubblici e persone fisiche in rappresentanza di più di 200mila residenti. Anche il danno stimato dai primi riscontri dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, purtroppo, sono da record: 136,8 milioni di euro.

Gli imputati per cui è stato richiesto il rinvio a giudizio si dividono in tre gruppi: quattro dirigenti giapponesi del Fluoro Fine Chemical Team di Mitsubishi Corporation; i vertici dell’International Chemical Investors e i responsabili della Miteni. Tra questi, il direttore operativo dal 2009 al 2012 e amministratore delegato dal 2012 al 2015, Luigi Guarracino.

Come vi abbiamo raccontato con Nadia Toffa, secondo studi americani, i Pfas possono provocare malattie come diabete, problemi alla tiroide, aumento del colesterolo con rischi di ictus e infarto, gestosi e varie forme di tumore. Nelle zone interessate, abitate da 300mila persone, è stato riscontrato un aumento della mortalità dal 10 al 30%.

Le acque contenenti Pfas non solo sono state bevute dagli abitanti dell’area ma sono state usate anche per irrigare i campi, con pericolo di inquinamento per ortaggi e verdure, con rischi anche per l'acqua e il cibo degli animali. In pratica, potrebbero aver inquinato frutta, verdura e carni che potrebbero essere finite nei supermercati e sulle tavole di tutta Italia. Alcuni degli abitanti di quelle zone, incontrati dalla nostra Nadia, ci hanno raccontato che dalle loro analisi risulta presenza di Pfas nel sangue. Tra queste persone ci sono Michela e sua figlia, che vedete nel video qui sopra. “Quando io vado al supermercato come faccio a comprare le cose che vengono da qua?”, ci ha detto Michela, che ha smesso di bere l’acqua del rubinetto per paura della contaminazione. “Al giorno siamo in quattro e consumiamo 12 litri d’acqua. Uso quella comprata non solo per bere e cucinare, ma anche per fare il caffè o fare l’ultimo risciacquo della verdura. Non so come certa gente quando la sera chiude gli occhi possa dormire”.

Ora Michela Piccoli vede in questo processo una speranza per avere giustizia: “Siamo 50 famiglie che hanno chiesto di costituirsi parte civile in questo processo. Chiediamo giustizia per noi e i nostri figli. Per anni abbiamo bevuto acqua contaminata e adesso i responsabili di questo inquinamento devono pagare. Noi non ci fermiamo!”.

Le accuse su cui si basa il processo sono due: avvelenamento delle acque destinate all’alimentazione umana sia di falda che di superficie e disastro innominato. Dalla contaminazione, secondo l’accusa, sarebbe infatti derivato “un pericolo per la pubblica incolumità consistito, in particolare, in un elevato bioaccumulo dei contaminanti Pfas-Pfoa nella popolazione esposta”.

Oltre al gruppo delle mamme No-Pfas, di cui fa parte Michela, e a 30 comuni nella zona interessata, anche un gruppo di lavoratori della Miteni chiederà di costituirsi parte civile al processo. Ora quasi 40 di loro si trovano in cassa integrazione, ci spiega al telefono uno di loro, Renato Volpiana. “Gli altri sono riusciti a trovare un nuovo lavoro, ma noi dal momento del fallimento societario, a dicembre 2018, e fino al 30 novembre siamo in cassa integrazione”. Oltre al danno la beffa. “Noi lavoratori abbiamo deciso di riunirci sotto la denominazione ‘Pfas Co.l.Mi”, che sta per ‘comitato lavoratori Miteni’, ma vuole anche dire che siamo stufi! Tra quelli che si costituiranno parte civile tanti sono ex operai dell’azienda, che si occupavano proprio della produzione. Ma tutti siamo stati contaminati. Non è facile, ma abbiamo deciso di chiedere di prender parte al processo perché ci sembrava giusto. È una questione di principio per noi”. 

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