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News | di Alessandro Barcella |

Mattarella “in apprensione” per Silvia Romano. Ecco cosa sappiamo del suo rapimento

La giovane cooperante milanese è stata rapita in Kenya il 20 novembre 2018 e da allora di lei non si sa più nulla. Il presidente della Repubblica: “Siamo in apprensione, il nostro pensiero si unisce al costante impegno per liberarla”. Iene.it ha pubblicato testimonianze esclusive e documenti che raccontano di un rapimento forse legato a una denuncia per pedofilia che Silvia aveva presentato 9 giorni prima di essere sequestrata

"Desidero ribadire l'apprensione per le sorti di Silvia Romano, la giovane rapita in Kenya mentre svolgeva la sua opera generosa di solidarietà e di pace".

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, intervenuto questa mattina alla cerimonia per "Padova capitale europea del volontariato", ha ricordato la giovane milanese misteriosamente rapita a 23 anni in Kenya il 20 novembre del 2018 di cui non si sa più nulla. "Non può mancare per lei il nostro pensiero che si unisce al costante impegno delle istituzioni per la liberazione". 

Della 24enne Silvia Romano, che faceva la volontaria per la onlus marchigiana “Africa Milele”, non si hanno più notizie da quando un commando di uomini armati l’ha rapita nel piccolo villaggio di Chakama.

Qualche mese fa è iniziato a Malindi il processo a carico dei due indiziati, Moses Luari Chende e Abdulla Gababa Wari, di origine somala. Proprio di un possibile rapimento a opera di estremisti somali si è parlato negli ultimi tempi, anche se l’ipotesi che la ragazza sia in mano ai miliziani islamici di Al Shabaab appare poco probabile. 

Silvia Romano è ancora viva e nelle mani dei suoi rapitori? È stata venduta a qualcun altro? È difficile riuscire a dare una risposta certa in un caso in cui, da oltre un anno, non si hanno che voci spesso incontrollate e infondate. Noi torniamo sugli elementi e le testimonianze esclusive che Iene.it ha raccolto con le sue inchieste. 

Inchieste che erano finite anche sui banchi del Parlamento e che erano partite dall’indiscrezione di un rapimento forse collegato a una denuncia fatta dalla ragazza milanese contro atti di pedofilia, appena 9 giorni prima della sua sparizione.

Vi avevamo fatto ascoltare la testimonianza esclusiva di uno dei due volontari italiani che avrebbero accompagnato Silvia a fare la denuncia contro un prete keniota: “C’era questa struttura affittata da Africa Milele, erano alcune stanze, noi dormivano lì. La stanza di questo prete era a tre metri dalla nostra, nello stesso nostro complesso, la Guest House. Abbiamo visto palpeggiamenti, strusciamenti, cose assolutamente non consone per nessuno, soprattutto per un prete. All’inizio me ne sono accorto solo io, e poi l’ho detto a Silvia e all’altra volontaria, e siamo stati tutti più attenti. Abbiamo visto le ragazzine che entravano nella stanza di quest’uomo e ci stavano pochissimo, due, tre, cinque minuti. Non so fino a che punto arrivasse, però atti pedofili c’erano eccome. Vedere certe cose e rimanere fermo… Io sono arrivato al punto di dire: ‘Facciamo qualcosa in fretta o io da qui me ne vado!’”

Il volontario, che aveva raccontato di non essere mai stato sentito dagli inquirenti italiani, aveva aggiunto alcuni dettagli su quella denuncia: “È stata fatta a nome di Silvia, firmata e presentata. Avevamo fatto il nome di quel prete e c’era anche un mandato d’arresto per lui… L’11 novembre, nove giorni prima che Silvia venisse rapita, facciamo questa denuncia e subito dopo torniamo a Chakama. Il prete però non c’era più, tutto era finito in una bolla di sapone”.

Un racconto poi confermato, sempre a Iene.it, anche da Lilian Sora, presidente della Onlus per cui Silvia Romano lavorava: “A Chakama sono arrivati Silvia e gli altri due volontari. Nella casa dove ci siamo noi, ci sono altre camere. Di solito insieme a noi ci sono gli insegnanti della scuola secondaria che affittano altre due stanze. Quando i ragazzi sono arrivati, nella stanza numero 1 c’era un altro signore, che noi non conoscevamo, quello che chiamavano 'father'. I ragazzi si sono accorti di alcuni atteggiamenti di questa persona, e cioè hanno raccontato che faceva entrare nella sua camera, con la porta aperta, delle bambine attorno ai 10 anni. Ho chiesto subito a Silvia di confrontarsi con Joseph, il mio compagno di etnia Masai che è sul luogo, perché è il referente africano di Africa Milele. Joseph si è preoccupato e ha parlato subito con il padrone della guest house, un uomo che noi chiamiamo il boss. Lui ci ha spiegato che questo prete era un pastore anglicano. Lì in Kenya il fatto che sia un prete mette fine ad ogni discussione, soprattutto se si parla di pedofilia, una cosa che dunque è da escludere a priori. Il boss ci ha detto che il 'father' sarebbe andato via nel giro di un  paio di giorni, e che era lì come commissario d’esame per la scuola primaria, perché era un prete ma anche un insegnante. Il boss ci ha detto che le bambine andavano in stanza da lui a fare catechismo, a pregare. Il giorno dopo i miei ragazzi hanno ripreso a dirmi che il prete aveva atteggiamenti non adeguati, e che loro avevano fatto in modo che le bimbe non entrassero. Il 'father' però usciva dalla stanza e stava con loro, sfiorandole. Era però difficile capire quanto i miei volontari si fossero lasciati prendere e quanto invece fosse vero. Non è facile andare a dire che c’è un pedofilo!”

Lilian Sora, su quella denuncia per pedofilia, aveva anche aggiunto un dettaglio che sembrerebbe gettare un’ombra sulle modalità d’indagine degli inquirenti kenioti. “I ragazzi sono usciti dalla centrale di polizia di Malindi con in mano un mandato di arresto per il ‘father’. I ragazzi avrebbero dovuto portare quel mandato il giorno dopo alla polizia di Langobaya, che è referente per il villaggio di Chakama. Insieme a loro sarebbe dovuta partire una poliziotta per andare a sentire le presunte vittime a Chakama. A Langobaya la polizia ha chiesto ai tre volontari 30 euro per pagare la benzina per le loro moto che dovevano andare a Chakama… Mi sono confrontata telefonicamente con i volontari e abbiamo detto: ‘ci pensiamo, ma anche no’. E allora il mandato d’arresto per il prete presunto pedofilo è rimasto in mano alla polizia di Langobaya”. E così la polizia, davanti a quel rifiuto dei 30 euro, non sarebbe partita per andare a cercare il prete.

Vi avevamo anche raccontato di un italiano che forse si nascondeva dietro l’identità di uno sciacallo che aveva chiesto il riscatto per la giovane, pochi giorni dopo la sua sparizione. Uno sciacallo di cui sempre Lilian Sora aveva spiegato:  “Da sei mesi questa persona manda email: la prima è arrivata il giorno dopo il rapimento e la seconda il 25 novembre. Io ci ho parlato, mi ha chiamato una mattina da un numero americano dello stato dell’Illinois, penso uno di quei numeri che si comprano su Internet. Si è presentato come Yusuf Aden: è una persona non giovane, direi di mezza età. Dal suo inglese e dal modo di parlare credo che sia un keniano, però noi pensiamo che dietro di lui ci sia un italiano".

E aveva aggiunto: “Questa persona scrive da un'email fornita da un provider svizzero, che non consente di risalire all’indirizzo Ip di provenienza e dunque di essere localizzato. Un provider altamente criptato, che neanche i i Ros dei Carabinieri sarebbero riusciti a identificare. Negli ultimi messaggi poi questa persona sta scrivendo che io me ne sarei fregata…”.

Infine, se non ce ne fossero già abbastanza, c’è il mistero sulla cauzione pagata da uno degli arrestati. Si tratta di circa 25mila euro regolarmente versati da uno dei presunti componenti del commando di rapitori, un uomo che però proviene da una famiglia di poverissime origini. Qualcuno ha pagato la cauzione per tenere l’uomo lontano dai riflettori e per assicurarsi il silenzio sulla sorte di Silvia Romano?

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