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Willy Branchi, Speciale Iene/5: il nome dell'omicida e i testimoni | VIDEO

Il nome dell’assassino di Willy Branchi sarebbe contenuto in una lettera recapitata ad alcuni parenti dell’omicida. Antonino Monteleone e Riccardo Spagnoli hanno parlato con loro. E intanto si amplia la pista dei festini omosessuali. “C’era un’avanguardia”, dice Carlo Selvatico

Nella prima parte abbiamo parlato di chi sono i sei indagati per false informazioni al pm, nella seconda della pista dei festini gay, nella terza di un clamoroso racconto inedito e nella quarta delle intercettazioni del parroco e del sarto e dell'ipotesi droga.

“Io non voglio niente da lui, se si azzarda a farmi del male lo dico a mio fratello”. Secondo l’avvocato della famiglia Branchi, è questa la frase che Willy avrebbe detto poche ore prima di morire.

Sono le 18 del 29 settembre 1988. Willy è in un bar del paese. Sta parlando con una signora e con loro c’è Patrizio Mantovani, un pescatore del posto. “Lui cambia espressione, arrossisce e si innervosisce”, dice l’avvocato. Secondo il racconto della donna, all’esterno del locale c’è un uomo che gira in bicicletta e cerca con insistenza lo sguardo di Willy che nel frattempo cerca di nascondersi dietro al bancone. Mantovani gli fa notare che l’uomo lo sta guardando.

Il cerchio inizia a stringersi attorno a una persona ben precisa. Chi potrebbe essere l’uomo in grado di commettere un omicidio così violento? Per don Tiziano Bruscagin, parroco di Goro, il suo nome era già sulla bocca di tutti nelle ore successive al delitto. Quanti e quali sono gli indizi che accendono i riflettori su di lui?

“Nell’omicidio di Willy i responsabili sono diversi e hanno avuto tutti un ruolo determinante”, sostiene il legale. “In particolare il nome detto dal parroco corrisponde con quello detto dalla testimone nel bar pizzeria”.

Antonino Monteleone e Riccardo Spagnoli sono stati a parlare proprio con Mantovani. “Non ne voglio sapere perché questa scena della bicicletta non l’ho vista. Io non c’ero”, dice.  

Una donna invece racconta un’altra verità. “Lui c’era e io ero presente lì con lui”, sostiene. “Lui negherà perché non vuole essere tirato in mezzo a questa situazione”.

Gli elementi raccolti durante le indagini vanno oltre il suo ultimo giorno di vita. “Il parroco riporta che questa persona sarebbe caduta in una sorta di depressione e sarebbe stato ricoverato in una clinica psichiatrica al di fuori della regione”, racconta l’avvocato Bianchi.

Secondo don Tiziano sarebbe stato ricoverato all’ospedale di Padova. Di questo dettaglio ne era a conoscenza anche l’ex medico del paese, uno dei primi a intervenire dopo il ritrovamento del cadavere di Willy che ai tempi era sposato con una persona vicina al presunto responsabile.

Il sacerdote al telefono con il giornalista Nicola Bianchi dice frasi molto gravi. “Tutto fu insabbiato perché la seconda moglie del dottor Bordoni era la sorella del presunto responsabile. Anche il medico sapeva perfettamente”.

Nel 1996 una nuova fonte aiuta don Tiziano a entrare in contatto con i carabinieri. Abbiamo ottenuto una nuova testimonianza. “Il ricovero mi risulta sia stato fatto alcuni giorni dopo nel Veneto”, dice. Alcuni testimoni diretti dicono che fu proprio il figlio del vecchio medico di Goro ad averlo preso in cura in quanto psichiatra. Antonino Monteleone e Riccardo Spagnoli sono stati da lui, ma non vuole parlare e sbatte a loro la porta in faccia.

Ad accertare la verità sarà la Procura di Ferrara proprio per questa situazione, il medico è sospettato di aver dato falsa informazione al pubblico ministero.

Così andiamo da una parente acquisita dello psichiatra che è imparentata anche con il presunto assassino indicato da don Tiziano. “So che mio suocero stava in cura al Parco dei Tigli a Padova”, dice la donna confermando le due versioni. “Ma non faceva male neanche a una mosca. Chi collega il suo nome all’omicidio è un matto”.

Quest’uomo però dopo la morte del ragazzo avrebbe ricevuto una lettera. “Il mittente diceva di essere dispiaciuto di quanto accaduto a Willy e che da quell’episodio non si erano più visti”, sostiene l’avvocato della famiglia Branchi.

Una circostanza confermata anche dal sarto Rodrigo Turolla proprio nell’intercettazione ambientale registrata in Procura a Ferrara. “Una parente dice di aver trovato una lettera in cui si dice che è stato lui”, dice a don Tiziano Bruscagin. 

Ma questa lettera è mai stata consegnata al destinatario, cioè il presunto assassino? “No, perché era all’ospedale quando gli è arrivata”, dice la parente ad Antonino Monteleone. La donna però ha un altro sospetto. “L’ha scritta la vicina Albonea e me l’ha strappata via dalle mani prima che la potessi leggere”.

Perché avrebbe scritto il nome per poi non farlo leggere ai parenti? L’abbiamo chiesto alla diretta interessata. “Lasciamo perdere tutto, non è vero niente”, taglia corto la donna che non vuole parlare.

“C’erano voci che a lui piacessero pure gli uomini”, dice Bruno Grigatti, macellaio di Goro. Il suo nome compare nel documento del 1996, lui è un’altra persona che avrebbe potuto sapere di più sulla vicenda. “Qui si parla di gente che ha famiglia”.

Ed è questo uno dei motivi per cui la verità non riesce a emergere ancora. Esistevano davvero quei “convegni carnali”, come li definiscono i carabinieri? E se sì, per quanti Willy poteva rappresentare un pericolo?

Ecco che in questa vicenda compare Carlo Selvatico. “Si presenta ai carabinieri come Oscar Guidi, un nome falso, dicendo di avere una forte paura di essere arrestato”, sostiene l’avvocato Bianchi. Noi siamo stati anche da lui, “una persona che ha frapposto dei seri ostacoli all’accertamento della verità anche a costo di essere incriminato”, come scritto dal pm. “Non so niente della storia di Willy Branchi perché io non lo conoscevo”, ci dice. “Vorrei sapere perché sono finito sotto processo, forse perché eravamo un gruppo più all’avanguardia della massa di Goro?”. A quell’epoca l’omosessualità era considerata ancora un tabù. In questo gruppo, Selvatico si considerava una sorta di maestro, in quanto il più anziano. “Lo conoscevo quando veniva a caricare il pesce dai commercianti”, dice a proposito dell’uomo indicato come il presunto omicida.

Selvatico ci fa il nome di un altro uomo del paese, un certo Enea con il quale avrebbe avuto anche una relazione sentimentale. Di lui ricorda l’episodio di una catenina con sopra scritto il suo nome. “Gliela dovevo dare in un momento più intimo. Invece di tenerla in tasca, l’ho messa al collo”, racconta Selvatico. “Eravamo con altri amici, mi ha scaraventato in terra e basta”. A questo punto, descrive il signore Enea come “una persona violenta di 17-18 anni sempre alla ricerca di soldi, sapeva che ero attratto dagli uomini. Enea si prende come un prodotto in scatola e poi si chiude la scatola”. 

 

Guarda qui sotto tutte le sei parti dello Speciale "Omicidio Willy Branchi: i segreti inconfessabili di un paese".

 

Speciale Omicidio Willy Branchi

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