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News | di Matteo Gamba |

Stefano Cucchi: la morte, il pestaggio e i dubbi, dopo il film e le inchieste

“Sulla mia pelle” risveglia le coscienze sul caso di Stefano Cucchi, morto nel 2009 per un più che probabile pestaggio una settimana dopo il suo arresto. Ecco tutte le tappe della storia e dei processi e perché il film è così importante per tutti

“Abbiamo perso tutti”. In questa frase c'è una delle sensazioni che ti resta dentro dopo aver visto il film “Sulla mia pelle” che racconta la morte di Stefano Cucchi, il ragazzo di 31 anni tossicodipendente morto il 22 ottobre 2009 a Roma dopo un più che probabile pestaggio avvenuto dopo l’arresto

Abbiamo perso tutti perché non siamo riusciti a costruire una società capace di impedire tutto questo. Qualcuno ha perso di più: per primi Stefano, che ha pagato con la vita, e la sua famiglia, con la sorella Ilaria che lotta da anni per avere giustizia. E poi le istituzioni che hanno perso credibilità coprendo l’omicidio di fatto di un ragazzo che andava solo aiutato.

Uno dei meriti del film, riuscito nel racconto non facile di una vicenda molto complessa grazie anche alla straordinaria interpretazione di Alessandro Borghi (foto in alto), è di diffondere questa storia al grande pubblico, assieme all’indignazione e alla rabbia che fa salire dallo stomaco. Prodotto da Netflix, viene visto infatti da migliaia di persone anche in affollatissime proiezioni pubbliche in tutta Italia ed è diventato una sorta di risveglio civile virale.

Fermato per spaccio il 15 ottobre 2009, Stefano Cucchi è stato processato per direttissima il giorno dopo. Gli vengono riscontrate lesioni e lividi alle gambe, al viso (compresa una frattura della mascella), all'addome (con un’emorragia alla vescica) e al torace (incluse due fratture alla colonna vertebrale).

Il film restituisce l’angoscia per un ragazzo in condizioni palesemente gravissime rimpallato tra caserma, carcere e ospedale. Nessuno fa nulla, nonostante queste condizioni fossero state palesi per tutti, in aula aula e come in clinica, per una settimana. Fino alla sua morte: quando era entrato in carcere pesava 43 chili, al decesso era sceso a 37. La famiglia ha avuto notizie di lui solo per l’autopsia. Era in queste condizioni.



Nel 2013 vengono condannati, con pene lievi, quattro medici per le mancate cure, l’anno dopo in appello vengono tutti assolti (assoluzione ribadita nel 2016 dopo che la Cassazione aveva chiesto un nuovo processo). Nel 2015 intanto la famiglia è riuscita a far riaprire nuove indagini arrivate ora a un processo, in corso, contro cinque carabinieri. Tre di loro sono accusati di omicidio preterintenzionale pluriaggravato dai futili motivi e dalla minorata difesa della vittima, abuso di autorità contro arrestati, falso ideologico in atto pubblico e calunnia, gli altri due sono accusati di calunnia e falso.

Noi de Le Iene abbiamo sempre seguito il caso, in particolare quest’anno durante il processo. Dalla relazione sullo stato di salute di Cucchi manomessa alla deposizione dell’ex moglie di un carabiniere (“Quante botte gli abbiamo dato”, racconta che gli avrebbe detto l’ex marito) fino al caso del carabiniere Riccardo Casamassima.

Si tratta di un testimone fondamentale del processo: ha parlato delle violenze dei colleghi su Stefano Cucchi. Casamassima ha denunciato di essere stato minacciato, trasferito e demansionato per questo. Per questa sua ulteriore dichiarazione, come vi abbiamo raccontato sul nostro sito, il carabiniere è stato punito con “5 giorni di rigore”, proprio mentre in aula veniva ascoltata la testimonianza di Ilaria Cucchi.

Guarda qui sotto il servizio del 2014 “Morti di Stato” sul caso Cucchi e su altri morti dopo un fermo o un arresto, con all’interno anche l’intervista a Ilaria Cucchi e a Lucia, sorella di Giuseppe Uva, operaio di 43 anni di Varese morto nel 2008 otto ore dopo un interrogatorio (il 31 maggio scorso i 2 carabinieri e i 6 poliziotti a processo per la sua morte sono stati tutti assolti).

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